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Il mito del suono analogico

Di: Franz Andreani | 28/05/2012
Tutto ebbe inizio qualche giorno fa quando Manfredi, uno dei nostri podcaster più “classici” dal punto di vista musicale malgrado la sua giovane età. Dichiarò all’attento uditorio, formato da un po’ di amici e dal sottoscritto, che stava cercando un “piatto” da comprare, usato naturalmente, per poter ascoltare una collezione di dischi alla quale aveva potuto accedere di recente. “ci sono dischi che conosco bene ma mi incuriosisce ascoltarli nella loro versione in vinile” disse.
Per i più giovani il “piatto” è solo quello in cui si mangia, o al massimo un oggetto di arredamento decorato di quelli che si vedono ancora in qualche vecchia casa, il “vinile”, sconosciuto anche lui, prende il nome dal materiale con il quale sono fatti i dischi suonati dal piatto. Oggetti quasi scomparsi dal quotidiano eppure, e forse per questo motivo, mitici, di cui qualcuno parla ancora. Non ci sono quasi più negozi di dischi eppure la gente compra ancora quegli oggetti di plastica in grado di riprodurre suoni. C’è ancora chi ne produce e stampa di nuovi, un solo stampatore in Italia piuttosto caro tra l’altro, c’è la giornata mondiale del negozio di dischi, chiamati non a caso ancora con il loro nome vinilico e non CD: insomma dopo che per anni certa stampa sedicente specializzata ne ha proclamato la morte, malgrado il predominio assoluto della musica liquida e soprattutto dei file mp3, che ne sono l’emanazione di bassa qualità e di grande diffusione, il fenomeno disco attrae le giovani generazioni, e Manfredi ed i suoi amici ne sono una testimonianza. Un suo amico mi ha regalato, pochi mesi orsono, una bella ristampa, acquistata su internet, di un disco di Miles Davis, un doppione per lui; un altro suo amico, durante una discussione che poi è stata lo spunto per questa riflessione, andava dicendo che voleva i dischi in vinile perché la qualità del suono era indubbiamente migliore dell’audio digitale.
Il mito crea un po’ di confusione, ma, giustamente, in quanto mito affascina. Cerchiamo allora di fare un po’ d’ordine e di chiarire il mio punto di vista.
Il mercato del “suono” è segnato da tante scelte secondo me sbagliate, che mettono in risalto l’aspetto mitico e ne deprimono quello sostanziale. Tutta quella che è la grande diffusione degli mp3 e dei video musicali su YouTube, ha appiattito verso il basso la qualità dell’ascolto. Il suono si è adattato, nel vero senso del termine, ad essere riprodotto da un certo tipo di impianti, casse di computer di bassa qualità dotate di roboanti quanto falsi subwoofer, che riproducono suoni resi artificialmente “ampi” da riverberi che ne conferiscono spazialità, ma ci sono anche cuffiette da pochi euro e gli altoparlanti dei telefonini. Il suono viene espanso, compresso e livellato in frequenza in modo da risultare compatto, piatto, dà l’impressione di spingersi attraverso le orecchie fin verso le ossa, la risonanza degli strumenti, ma anche il calore di un amplificatore o il tocco della pennata di un chitarrista, o ancora il rumore della meccanica di un pianoforte o cose simili, sono semplicemente spariti.
Il mercato ha vinto sul suono. Ma il suono è segnato anche dal fatto che quel segmento che se ne occupa sta diventando sempre più di nicchia. Gli Audiofili sono sempre esistiti, è vero, ma ora il divario tra loro ed il resto del mondo è segnato dall’aumento indiscriminato dei prezzi degli apparecchi. Provate a sfogliare una di quelle bellissime riviste dedicate all’alta fedeltà, alla musica liquida. Ci sono amplificatori costruiti con componenti “discreti” (cioè transistor, condensatori e diodi tanto per banalizzare, niente valvole) che costano 6000 euro nei loro modelli economici. Mi domando cosa possa aggiungere oggi quel tipo di elettronica di così innovativo tanto da giustificare dei prezzi così alti? La progettazione degli amplificatori, che è sicuramente la parte essenziale per la riuscita di un impianto di alta fedeltà, non aggiunge e non toglie nulla ad un progetto di qualche anno fa.
È il mercato quindi che ci sta pilotando, ci fa scegliere la musica imponendocela nostro malgrado con i canali di distribuzione che molto subdolamente ci fanno credere di avere la possibilità di scegliere, ci abituano ad un certo tipo di ascolto e di suono così che poi resti più facile imporci certa musica. Di contrasto ci paiono capolavori tanti semplici brani eseguite da musicisti casalinghi, solo perché il suono ci sembra più vecchio stile, o solamente più naturale, perché la chitarra suona come una chitarra.
Tutto questo, oltre naturalmente a pilotare il ricco mercato della musica, genera anche i falsi miti dell’ascolto analogico e della qualità. Ho sentito dire “mi compro il piatto perché i dischi si sentono meglio dei CD”, che è un falso dettato dal mercato. Con orrore penso al suono “lavorato” di oggi che viene riprodotto così com’è da una povera puntina meccanica, che – proprio per la sua meccanicità – riproduce il suono come può, ma certo non come lo avrebbe riprodotto al meglio nelle incisioni di qualità di qualche anno fa. Insomma non basta far girare un pezzo di plastica nera per assaporare la qualità di un tempo, è il suono la vera vittima del mercato e con lui anche molta musica.
Certo non mancano le eccezioni illustre e non casarecce. Se Harry Rollins incide ancora in maniera analogica e controlla con cura che il suono riproduca fedelmente il calore delle sue chitarre, del basso e della batteria, è certo che il miglior ascolto verrebbe da un vinile suonato su un piatto, ma quanto devo pagarlo il piatto, l’amplificatore e le casse se con una spesa modesta posso “pompare” bassi tali da mettere in crisi la cristalleria di Boemia della nonna?

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