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Solo due righe su Annunziata ed i gay, please.

Di: Franz Andreani | 07/03/2012
Che brutto è stato vedere Lucia Annunziata che, per lanciare una provocazione durante un’intervista la scorsa settimana, ha usato i gay. Si è scusata, ha precisato, ha mandato in onda una puntata dedicata alle problematiche sociali di queste persone, ma l’amaro resta.
Voglio essere telegrafico e andare diritto al problema dove lo sento io, e chiamare voi a parlarne. Non casco nella trappola giornalistica giudicando il fatto che Radio24 – la radio che fa capo al Sole 24Ore e alla confindustria – a poche ore di distanza da quelle dichiarazioni, abbia dato spazio a Giovanardi tanto da fargli dire bestialità irripetibili che richiamano esplicitamente al fascismo e all’olocausto. Quelli sono delinquenti che parlano perché godono dell’impunità parlamentare, che è un giusto istituto giuridico, ma poi c’è la feccia del giornalismo che ne amplifica la voce, per far spettacolo, contro ogni idea di cultura e di tolleranza.
Non faccio quindi, per non dar corda a questo squallido giornalismo, paragoni tra l'Annunziata e il Giovanardi, come ho letto in questi giorni; troppe sono le differenze culturali, professionali ed ideologiche tra i due.
Ma io mi domando due cose: come si fa a difendere a spada tratta qualcuno, anche se questo si chiama Celentano, a prescindere dalle cose che dice? Se uno dice stupidaggini, queste vanno accolte con atteggiamento critico, soprattutto da chi ha la responsabilità di fare opinione, ma questo pare nessuno lo abbia messo in dubbio. Ma perché la giornalista ha tirato fuori un esempio così odioso? «Avrei difeso l'intervento di Celentano a Sanremo anche se avesse detto che i gay devono andare al campo di sterminio». Un paradosso forte ha riconosciuto poi la giornalista. Scarterei l’ipotesi del pregiudizio nei loro confronti, l'Annunziata, infatti, ha facilmente confutata questa tesi con tutto un gran rumore di dichiarazioni e trasmissioni. Si è affrettata a dichiarare «I funerali di Lucio Dalla sono uno degli esempi più forti di quello che significa essere gay in Italia: vai in chiesa, ti concedono i funerali e ti seppelliscono con il rito cattolico, basta che non dici di essere gay. È il simbolo di quello che siamo, c'è il permissivismo purché ci si volti dall'altra parte». Osservazione giusta e condivisibile, ma allora perché il primo esempio che ti salta sulla lingua è rivolto in maniera così dispregiativa nei confronti dei gay?
Semplice, i gay ci fanno paura; il diverso, l’imperfetto, quello che gli altri potrebbero pensare di noi, ci spaventa e quindi lo esponiamo al mondo nelle occasioni più impensate, mettiamo le mani avanti. Con l’aumentare della paura, aumenta anche la violenza verbale ed il disprezzo.
Non c’è in Italia una cultura della diversità e della tolleranza l’essere gay mina alle base la nostra mascolinità e la nostra femminilità pubblica, quella che esibiamo in maniera sempre più spregiudicata. Sempre più spesso, attraverso i mezzi di comunicazione, ci esponiamo al giudizio degli altri con il terrore di essere feriti, e feriamo l’altro, il diverso da noi.

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