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Per conto del Popolo Italiano

Di: Franz Andreani | 11/03/2011
Non ho le parole del giurista, del costituzionalista, ho lo sguardo esterrefatto di chi vede il compiersi di un disegno di potere: magari per motivi professionali ho una vista privilegiata, addirittura parziale. Mi viene da pensare che i magistrati tutti i giorni leggono, nelle aule di tribunale, una formula prestampata, la leggono d'abitudine eppure sono consapevoli della forza che quella frase sta perdendo: "in nome del Popolo Italiano".
"In nome", non "per conto del Popolo Italiano", la sottile eppure cruciale differenza sta qui. Quello che fa rabbrividire il giurista, il costituzionalista, lo studioso e che dovrebbe far tremare il cittadino è questo cambio di prospettiva annunciato da una riforma che obbiettivamente non si sa neppure se si compirà. Il popolo diventa sempre di più, agli occhi del potere, il grimaldello per scassinare dall’interno la coesione sociale, la solidarietà. L'opinione pubblica - già estremamente mobile - giudica e condanna secondo degli slanci emotivi, e ignora ciò che chi questa opinione pubblica manipola vuole che quest'ultima ignori. Ci stiamo affacciando all’era della giustizia per conto del popolo.
Accennavo prima che questa riforma probabilmente non si compirà mai nella sua interezza, c'è troppa confusione politica, questa annacqua le menti e fa galleggiare solo quelle norme che hanno una contingenza, che servono al momento, che garantiscono il raggiungimento di uno scopo. L'iter parlamentare di una legge Costituzionale è - per fortuna - complesso, ed è difficile che ci sia la volontà politica per attuarlo completamente. Quindi potremmo essere spinti a credere che questi timori siano avventati e prematuri. Ma come al solito non dobbiamo fermarci all’apparenza, perché questo gran parlare che si fa di riforma della giustizia prepara il terreno perché passino dei concetti falsi, dei valori fasulli, che, essendo ripetuti incessantemente, assumono il crisma di verità.
Non è un caso che l'humus per questa riforma "epocale" sia stata preparata da lunghi anni di informazione superficiale, come faremmo se no a pensare che sia giusto separare non tanto e non solo le carriere dei giudici ma anche il loro governo? Cardine della proposta infatti è la divisione del Consiglio Superiore della Magistratura in due, uno - presieduto dal Capo dello Stato - che si occupa dei magistrati che giudicano, e l'altro presieduto non si sa bene da che, che amministra i pubblici ministeri. Scrivo che non si sa chi lo presieda perchè appare improbabile che a capo del nuovo CSM possa sedere il Procuratore Generale, vale a dire il capo dei magistrati che rappresentano l’accusa, questo vorrebbe dire che occorrerebbe garantire un'autonomia alla Cassazione, che è l'organo ove il Procuratore esercita il proprio ufficio, ma questa è essa stessa un organo giurisdizionale. Appare quindi chiaro che il pubblico ministero passi sotto il controllo del Ministero, del potere politico, del politico che governa in forza di una maggioranza.
Qui appaiono altri due concetti di cui si sente parlare impropriamente. Innanzi tutto il fatto che la maggioranza, in forza della sua vittoria numerica. possa fare tutto ciò che crede, questo è fascismo, si governa violando le regole, contraddicendo quelle garanzie che tutelano la pluralità della decisione: ho vinto io e faccio quello che mi pare, questo sentimento si è radicato fin nella quotidianità.
Il secondo concetto è la figura dell'avvocato dell'accusa, quello che, secondo la diceria in voga, è il ruolo del pubblico ministero. L'avvocato è un professionista, un tecnico della materia giuridica, una persona che deve saper garantire ad un accusato o ad una parte offesa il diritto di essere rappresentato e difeso in giudizio, e per questo ha un ruolo fondamentale nel processo. Il pubblico ministero è un funzionario dello stato, ha fatto gli stessi studi giuridici del magistrato che giudica e quindi esercita l'accusa con la stessa cultura giuridica di chi giudica. Non è un organo di polizia giudiziaria, egli infatti raccoglie gli elementi di prova messi insieme dagli organi di polizia, e ne vaglia la coerenza, li contestualizza, li fa valere in un accusa. Il bravo pubblico ministero non è quello che ottiene più anni di condanna, ma è quello che applica la legge in modo coerente e aderendo ad un contesto: faccio un esempio: un PM che accolga per buone le confessioni di un pentito di mafia e vi costruisca un processo, non avrà fatto il suo dovere se non ha vagliato sulla possibilità che la famiglia alla quale appartiene quell'indagato sia in lotta con un'altra. Il pubblico ministero nel nostro ordinamento può chiedere l'assoluzione di un indagato, non deve battersi perché questo venga condannato.
Se poi consideriamo che verrebbe meno un altro cardine del nostro ordinamento giudiziario, la non obbligatorietà dell’azione penale, per cui a fronte di certi reati si possa o meno procede'e contro degli indagati, possibilità che tra l'altro viola il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, allora sì che la maggioranza prenderebbe il controllo del potere giurisdizionale attraverso il governo dei pubblici ministeri, il potere politico potrebbe stabilire chi e su cosa processare con un’azione preventiva legislativa o successiva giurisdizionale.
Dobbiamo mettere in conto che con gli anni, sempre sull’onda della demagogia, sono stati depenalizzati reati importanti come il falso in bilancio, e ne sono stati inventati di nuovi come l'immigrazione clandestina, così come sono state aggravate le pene per i furti, tutto viene fatto ad arte perché la giustizia venga giudicata inaffidabile ed incoerente, e i magistrati, dal canto loro, nel clima del "io speriamo che me la cavo" di questi anni, non svolgono spesso la loro parte con senso istituzionale, quindi anche se la riforma verrà solo parzialmente attuata, sarà stato inculcato nell'opinione pubblica un messaggio falso, contraddittorio ad uso di chi governa, contribuendo a far si che questo paese prenda sempre meno coscienza di sé.

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