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Dal Blues alle cover

Di: Franz Andreani | 21/01/2011
Il Blues è nelle corde di questa radio, è la musica che ci portiamo dentro, l'anima che unisce la tradizione popolare degli immigrati negli Stati Uniti d'America, con le canzone che ascoltiamo oggi. È quindi buon segno se questo anno per noi si apra dando un pizzico di sostegno ad una manifestazione che, per il carattere coraggioso delle proprie scelte e per l'attenzione che dedica costantemente a quel panorama cosiddetto "minore" che proviene dal nostro paese, si è guadagnata con gli anni una certa fama e rispetto.
Il Mojo Station Blues Festival lo scorso novembre ci ha regalato la sesta edizione con un buon successo di pubblico. La manifestazione è la logica conclusione, la messa in pratica, del programma radiofonico omonimo in onda dal 2002 su Radio Popolare Roma. Ed è proprio il compleanno di questo sodalizio, di questa trasmissione che si festeggia questa sera, venerdì 21 gennaio 2011 al Circolo degli Artisti di Roma.
Protagoniste dell'evento due formazioni di livello assoluto. Dapprima i romani Black Friday - a conferma del connubio con il territorio di cui il format radiofonico è espressione diretta - con il loro Delta Blues estratto dal primo recente disco “Hard Times”, già sotto i riflettori delle principali testate musicali. A seguire l'istrionico canadese Son Of Dave che presenterà il nuovo disco “Shake A Bone”. Già chitarrista dei Crash Test Dummies, Dave successivamente allo scioglimento della band, è tornato al suo primo amore, l'armonica. Di qui la sua reincarnazione musicale con il nome di Son Of Dave. One-man band capace di incollare gli sguardi del pubblico: voce, armonica e foot-stomp per uno spettacolo da non perdere, a cavallo tra tradizione e contemporaneità. Una serata incandescente carica di groove e musica del diavolo.
La Mojo Station non ci farà mancare un ricco DJ Set, che si prolungherà nella notte, il tutto con un biglietto popolare di 8 € che si riducono a 6 € dopo le 22,30. Tutte le informazioni comunque sono visibili anche nella nostra locandinma degli "eventi".
Un'osservazione merita sicuramente il Circolo degli Artisti, artefice a Roma, insieme al tartasssato INIT, di quel po' di vivacità musicale che ad una città come la capitale va decisamente stretta. Oppure no? Mi spiego: tante volte ho l'impressione che Roma abbia ciò che si merita, non solo musicalmente.
Innanzi tutto riconosciamo ai due locali una tenacia ed un coraggio nel proporre cartelloni ricchissimi da diversi anni, davvero fuori dal comune; in passato abbiamo avuto altre lodevoli eccezioni, che sono rimaste brevi finestre, anche entusiasmanti durate lo spazio di una due stagioni. Eppure a Roma si suona, non c'è più l'incubo presente in passato di dover per forza riunire i musicisti sotto la bandiera della scena romana, si suona e si fa grande musica, che resta assai spesso nelle cantine. Ma la musica – come i film così come ci sta insegnando l'esperienza bellissima ma non particolarmente entusiasmante dal punto per ciò che riguarda il pubblico del nostro Quinlan Cinema – non la si ascolta, non la si scopre, si va per vie conosciute, già battute e collaudate. A Roma c'è l'Aditorium Parco della Musica, una fucina culturale di prim'ordine, un luogo che ti fa sentir bene solo a starci nei dintorni, bello, pieno di vita, di gente, c'è la libreria discoteca, ci sono i bambini ed un sacco di attività, è un luogo pieno di concerti, di laboratori, di seminari culturali e di approfondimenti, di domeniche che passano tra una lezione di filosofia ed una di rock. Ma – forse è giusto così non dico di no – la gestione di tutto questo è non partecipata: immagino che si tratti di una utopia affermare che sarebbe bello che i programmi musicali fossero fatti anche in concorso con le associazioni che di altra musica si occupano. Ed invece la pur ricca ed interessante offerta di cultura all'Auditorium qualche volta resta distante dalle piccole realtà. Certo, si dirà che si deve far cassa, e che la cassa in realtà si fà; molti degli eventi risultano esauriti molte settimane prima. Ma non c'è spazio, volontà organizzativa, per le cose piccole eppure significative che in molti modi si organizzano in città, come il Mojo perchè no!
Una nota particolare la merita l'acustica dell'Auditorium. Essa è eccellente quando non viene usata l'amplificazione, ma quando un concerto richiede un sound system, il discorso si fa diverso. Io non so davvero se le meravilgiose pareti di legno vibrino sotto la pressione incalzante degli amplificatori, o se ci sia una incapacità tecnica di chi è deputato a fare il suono del concerto, anche perchè – per quello che mi consta – pare che non sia possibile ai fonici degli artisti ceare il sound del gruppo impegnato sul palco.
Ma perchè dico che Roma si merita ci che ha? Perchè va meglio a quei locali che ospitano le "cover band". È un fenomeno stimolato qualche anno fa da una radio privata, all'epoca dei fatti sedicente rock. L'overdose di Genesis e Pink Floyd, Mercury e Deep Purple, U2 fatti in casa, ha creato uno zoccolo duro di pubblico che si sposta per i numerosi locali coinvolti nel giro e che da ai msicisti la concreta possibilità di esibirsi, che poi è ciò che i musicisti desiderano.
Fatevi raccontare dal nostro Manfredi, che lavora come barman acrobatico in uno di questi locali poco fuori Roma, l'alta fequentazione di cui godono questo tipo di serate, la partecipazione di msicisti anche di gran pregio, che, pur di suonare, eseguono con obbligata diligenza le cover del loro gruppo di riferimento. Il concerto non è più una scoperta, al limite anche la scoperta di canzoni scritte da altri ma riproposte in un caleidoscopio vario di generi ed ispirazioni, tante cover di tanti gruppi ed epoche diverse, no, il pubblico a Roma vuole essere rassicurato, vuole ascoltare una cosa che conosce, discietta sulla perfezione o meno di una cover rispetto all'originale, e la creatività, l'avventura, la novità, l'insicuro musicale, spariscono dalle nostre sale da concerto e dai nostri locali.
Da una parte quindi la Cultura classica imposta se mi concedete un po' troppo dall'alto, senza un confronto con la città, per contro l'altro lato della stessa medaglia, con lo stesso successo di pubblico, la ripetizione all'infinito, la riesumazione di ricordi che per molti sono solo riflessi. Il Mojo c'è comunque, sta lì a dimostrare che qualcos'altro si può fare e si fa, e merita – oltre che per il suo sangue blues – tutto il nostro sostegno.

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