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Il movimento che non si muove

Di: Franz Andreani | 11/10/2010
È accaduto giusto qualche giorno fa, l'ultimo episodio di quello che sto per raccontarvi; un caro amico manda a me, come ad altri, una bella mail gentile e sincera. Si tratta di firmare l'appello per salvare il quotidiano "Il Manifesto", una iniziativa giusta, importante, doverosa, immediata. Occorre fare qualcosa e farlo subito, la legge sull’editoria toglie di fatto i fondi all'opposizione. Io leggo. Mi rendo conto dell'importanza della cosa, approfitto per parlarne con qualcuno, come faccio ora nel Blog, e firmo. Ho fatto. Una delle n firme.
Ieri l'altro ascoltavo una brava insegnante di paese di scuola elementare, raccontava degli ospedali della provincia di Viterbo che verranno chiusi ad inizio del prossimo anno per dar seguito ai tagli della regione alla sanità. C'è stata una manifestazione, ma a questa hanno partecipato soprattutto le persone coinvolte, chi perderà il posto di lavoro, perché gli ospedali da chiudere sono una dozzina. La gente, l'utenza della provincia, quella che per un pronto soccorso faceva al massimo 20 chilometri e ora dovrà andare a Roma o Viterbo o Civitavecchia, non c'era. Ci siamo detti: è mai possibile che tutto ci debba scivolar via come niente, che non ci sia una reazione, una risposta, che arrivi il fatto compiuto e poi chi può si arrangi?
Alle manifestazioni non ci crede più nessuno, si dirà, come ai referendum, se ne è abusato, si sono inflazionate, come se le une e gli altri fossero sottoposte alla legge della domanda e dell’offerta.
Il Popolo viola si è visto quest'autunno, ma l'appuntamento basato sul "contro qualcuno" ha avuto una rilevanza più modesta rispetto allo scorso anno.
È la politica del contro che uccide il movimento, il contro è statico, è opposizione passiva, è negazione perenne, non che non si debba essere contro, ma non basta, come al solito. Nel nostro microscopico caso di radio, siamo contro la pirateria, contro la musica che resta sempre la stessa, cerchiamo di farla girare, di proporre sempre cose "altre", di guardare sempre avanti, per quanto sia possibile, secondo i nostri mezzi, cerchiamo di unirci ad altri che parlano la nostra stessa lingua e che perseguono gli stessi nostri fini.
Ci siamo ridotti al silenzio; direi soprattutto che ci piace contarci, sapere quanti siamo, e per farlo la rete, sempre utilissima con il suo moltiplicatore di consensi che è il social network, ci viene in aiuto. Anche in questo caso la rete da formidabile mezzo di diffusione delle idee e della conoscenza diventa fine della protesta, dell'azione, un azione che non agisce, voce di un movimento che non si muove, il quale, seduto davanti alla tastiera -se tutto va bene - scrive qualcosa o peggio clicca col mouse, e si misura con i numeri, numeri che fanno spettacolo, scena, audience. Laddove la notizia è superficiale e bada alla forma, i numeri contano qualcosa e le scelte brutte ci scivolano addosso, ci passano sopra e noi ci svegliamo la mattina che qualcosa è cambiato: in peggio.

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