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Le luci della centrale elettrica

Di: Gianpaolo Castaldo | 05/10/2007

Un'autoproduzione, un disco "minore", o meglio, figlio di un Dio minore, un piccola e al contempo grande memoria, il lavoro di Vasco Brodi da Ferrara, noto anche come "Le luci della centrale elettrica" merita davvero attenzione e luci accese. Dieci tracce, dieci spari nel buio, dieci urla nella notte, dieci dita negli occhi, dieci graffi sulla pelle. Tormenti a la CCCP esibiti senza paura che nessuno possa vomitare accuse di paternità evidenti. "Proteggimi dai lacrimogeni e dalle canzoni inutili". Vasco Brodi spazza tutto via come un tornado che ci libera finalmente della nostra angoscia. E lo fa, magari con ingenuità, ma soprattutto fregandosene d'assomigliare ai suoi maestri, o di suonare innovativo. Racconta esperienze vissute, vissute in modo struggente e col coraggio di guardare in faccia all'assurdità della vita ("precaria era l'aria/ ma anche l'acqua della doccia/ ma se ci fosse un volo a basso costo della Ryan Air/ giuro che ti raggiungerei [...]/ arrivava via internet la sera/ e ti deludeva"). Un esordio che mi fa fare la pace con la scena indipendente italiana, altrimenti impegnata a rimirare le propriè voluttuosità di fronte allo specchio . Esplodono confusi e tonanti i discorsi della gioventù che ha smesso di vivere in una soap di Italia 1 e che invece che un trono da Maria De Filippi si trova a fronteggiare la propria vita precaria. Sul fogliaccio che copre il cd si legge che è stato "registrato il diciannove e il ventuno di dicembre nel container di e da fedeviola" e che è stato "mixato i primi di gennaio tra atroci ubriacature da fedeviola e noi due". Micidiale e liberatorio, vi farà sentire meglio almeno quanto il vaffa day, anzi, di più.


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