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PAUL AUSTER - IL LIBRO DELLE ILLUSIONI

Di: Marcello Berlich | 10/07/2012
David Zimmer, insegnante di lettere al Liceo, è un sopravvissuto: è un sopravvissuto perché non ha preso l'aereo in cui invece sono saliti la moglie e i due figli, per un viaggio senza ritorno. La sua è la classica vita distrutta, all'insegna di un lento scivolare verso l'oblio... fino a quando una sera non si imbatte in una 'comica' di Hector Mann, semisconosciuto attore dei tempi del muto, e David... ride, di gusto.
Incuriosito, decide di saperne di più, su quel personaggio, regista e interprete di un pugno di brevi comiche, scomparso improvvisamente quando sembrava per stesse spiccare il balzo verso la stessa notorietà un Keaton o un Chaplin; così si imbarca prima in una ricerca che lo porta in giro per il mondo alla ricerca delle poche copie rimaste dell'opera di Mann e poi scrive un libro sull'argomento.
A questo punto, come nello stile di Auster le cose si fanno strane: Zimmer riceve la lettera di una persona che afferma essere la compagna di vita di Mann e che lo invita ad andarli a trovare, in Messico; in seguito riceve la visita 'di persona'di una giovane donna, Alma Grund che, anche puntandogli una pistola contro, lo costringe a seguirla, alla volta della residenza di Mann e signora. Nel corso del viaggio, la Grund racconta a Zimmer la vera storia di Mann, una storia di violenza ed espiazione... quando arriveranno sul posto, con l'intenzione di visionare una serie di film che Mann ha girato, senza mai renderli pubblici, per espiare la colpa della serie eventi che portarono anche al suo esilio, sarà ormai troppo tardi e anzi quel viaggio darà il via ad un'altra serie di tragedie.
L'effetto è il solito: per quanto Auster ormai ci abbia abituato ai suoi 'colpi di teatro', le svolte repentine che sistematicamente tolgono al lettore la soddisfazione di un finale se non immaginato, almeno 'sperato', ogni volta la lettura di un suo libro ti spiazza. Ancora una volta, descrivere l'opera di Auster vuol dire utilizzare il titolo di uno dei suoi libri, "La musica del caso": una persona distrutta dalla vita in un dormiveglia alcolico si imbatte in una comica, e da lì prende il via una serie di eventi che ne sconvolgono la vita...
Stavolta, il tutto viene usato per rendere omaggio all'epoca del muto: il modo in cui Auster descrive ad esempio una delle comiche dell'attore, ha del magistrale, nel ricreare sulla carta le immagini, le luci, le movenze degli attori... leggendo questo libro proprio ora, tra l'altro, non si può non pensare al recente successo di un film come The Artist, stessa epoca, stesso 'mondo'. Auster parte da qui per esercitarsi in una riflessione, su cosa voglia dire per un artista essere ricordato e su come forse la peggior punizione che gli si possa infliggere (o come in questo caso, che un artista si possa auto-infliggere) è il produrre opere che, normalmente destinate a un pubblico, si sa fin dall'inizio essere destinate a restare sconociute per l'eternità: un film prodotto e girato ma mai destinato alle sale, un libro scritto ma mai pubblicato, un quadro dipinto e mai mostrato a nessuno.
Le due vicende, quella del lento ritorno a un barlume di normalità di una vita devastata e per contro quella della discesa nell'esilio autoinflitto si incontrano, finendo quasi per mescolarsi, in un meccanismo narrativo formidabile, ancora una volta un pezzo di bravura da parte di Auster.

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