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Borgo Propizio

Di: Bookworm | 25/06/2012
Borgo Propizio di Loredana Limone (Guanda 2011 € 16,50)
Un libro che mi ha sorpreso; non che sia particolarmente strano, originale, eversivo o provocatorio. Anzi. Quello che sorprende è proprio il fatto che è un romanzo d’esordio di una mia quasi contemporanea (classe ’61), scritto in questi anni, ed è incredibilmente normale, scritto in un ottimo italiano che fa bene a leggerlo (mi ha fatto rendere conto più del solito di quanto si sia imbastardita la nostra lingua e soprattutto la nostra grammatica) piacevole, solare, con il lieto fine; insomma, un romanzo classico scritto per il piacere di scriverlo. La storia è semplice, un piccolissimo borgo semiabbandonato in una campagna non specificata, con le rovine di un castello, la leggenda del fantasma di un ciabattino, una giovane di città che decide di venire ad aprirci una latteria, proprio nella ex bottega del ciabattino, un muratore che ristruttura la bottega e trova la mappa di un tesoro, e si innamora di un’impiegata del comune, la quale ha una sorella gemella che è una maga delle creazioni all’uncinetto. La giovane aspirante lattaia è figlia di un avvocato separato dalla moglie, ed ha una zia innamorata di Gianni Morandi, che tutte le donne del libro, di qualsiasi generazione, sembrano adorare. In effetti nei ringraziamenti l’autrice ammette che il libro le è stato ispirato proprio dall’amore per questo cantante, e una delle cose che trovo sia sorprendenti che sconcertanti, ma credo che sia un effetto voluto, è che tutta la trama insiste sui valori tradizionali che si ritrovano da sempre nelle canzoni dell’eterno bravo ragazzo, l’importanza della famiglia, dell’onestà, della sincerità soprattutto, delle buone intenzioni e dei buoni sentimenti. Sono argomenti fuori moda, alla famiglia felice che fa colazione con i biscotti la mattina non ci credono nemmeno i creativi pubblicitari, sono un’ideale ipocrita e patinato. Eppure la scrittrice riesce a costruire una storia talmente leggera, che scorre talmente bene, da portare dopo la lettura alla considerazione che in fondo capita a tutti ogni tanto di fare colazione insieme con i biscotti e un sorriso.
E questa leggerezza è la seconda cosa sconcertante. Il romanzo ha tutti i presupposti per un drammone, famiglie sfasciate, vecchi misteri, rancori covati una vita, persone che vogliono confondere le acque e malintesi pericolosissimi. Ma ogni volta che dovrebbe scatenarsi il dramma, qualcuno parla, semplicemente e sinceramente, e tutto si sgonfia, il dramma si dilegua come una bolla di sapone, e la storia va avanti. Se fosse stato scritto negli anni venti, sarebbe stato forse un romanzo fra tanti. Oggi, scritto da una donna che ha vissuto il post-sessantotto, le lotte femministe (e in effetti sono le donne le protagoniste del romanzo, l’unico uomo a uscirne a testa abbastanza alta è, altra sorpresa, un maresciallo dei carabinieri), gli anni di piombo, è un cameo delicato e soddisfacente, l’equivalente letterario di un bell’acquarello.
Unico vero guaio, in particolare per i frequentatori di questa radio, ma forse solo per quelli oltre gli ‘anta’ che la ricordano, è il serio pericolo di ritrovarsi per circa tre giorni a canticchiare una canzone di Morandi, odiata già all’epoca anche perché ti si caccia in testa e non se ne va più, anche se di Morandi non si conosce altro. Infatti non la nomino, sono buona.

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