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L'intransigente

Di: Bookworm | 20/04/2012
Maurizio Viroli, L’intransigente; Bari, Laterza, 2012; € 15. Un libro che fa pensare, e ci chiama in causa in prima persona.
L’autore analizza l’abitudine storica degli Italiani a transigere un po’ su tutto, e gli effetti deleteri che questa abitudine ha avuto sulla storia del nostro Paese. Certo, com’è ovvio, viene evidenziata la responsabilità dell’educazione cattolica, una morale basata sulla confessione che porta all’assoluzione dei peccati, o addirittura l’acquisto in moneta delle indulgenze. Come si fa a instillare la rettitudine, la coerenza, il senso di responsabilità e il disprezzo per il peccato, quando si offre contemporaneamente un modo così facile di lavare via ogni responsabilità? Come si legge già in copertina, “Un popolo abituato a transigere con la coscienza e con Dio non è capace di essere intransigente con gli uomini”. Gìà ai primi del 1800 Sismonde de Sismondi, viaggiatore protestante, così descrive gli Italiani: “Tutti hanno imparato non a ubbidire alla coscienza, ma ad ingannarla, e tutti sono maestri nell’arte di assecondare le passioni con le indulgenze, le riserve mentali, il proposito di una penitenza e la speranza dell’imminente assoluzione.”
Viroli ci racconta che la chiesa ha anche saputo trasformare, e questa è una teoria davvero affascinante, Maria, la madre di Cristo, nella “donna del si”, che china il capo, “che si piega con la flessibilità del giunco al soffio dello Spirito Santo (e via via al marito, ai parenti, ai figli, alle convenzioni sociali, alle regole delle buone maniere e del costume)”, mentre “il racconto evangelico trasmette l’immagine del tutto diversa di una donna dalla tempra di sovversiva e di un angelo perlomeno anticonformista”, che si rivolge a lei invece che al padre, e lei “di fronte alla proposta di restare incinta senza conoscere il suo uomo …… chiede spiegazioni e, ricevuti i chiarimenti del caso, pronuncia liberamente il famoso si. … da sola, Maria dice un sì che è una straordinaria affermazione di forza e di volontà interiore”.
Noi siamo abituati a considerare l’intransigenza una qualità negativa, un eccesso di rigidezza e severità, un non voler comprendere le ragioni degli altri. Eppure, sostiene l’autore, è proprio la mancanza di intransigenza che ha permesso ai guasti del Paese di prosperare e radicarsi, dall’avvento del fascismo all’attuale sfascio etico e organizzativo della politica e della società. La paura di apparire intransigenti, e quindi di alienarsi il favore delle masse, porta a non sostenere con fermezza le proprie idee, e di conseguenza ha portato la diseducazione al dibattito, alla discussione costruttiva che si può instaurare fra due persone o fazioni salde sui propri principi e quindi disposte a ragionare e confrontarsi con le idee degli altri, riducendo invece il confronto a un battibecco basato sul niente, perché non vi sono basi solide dietro alle posizioni sostenute.
Partendo da un’analisi della politica accomodante che ha praticamente accolto il fascismo al governo, per “evitare scosse pericolose”, e passando in rassegna gli intransigenti antifascisti che per difendere la libertà delle loro idee sono morti o hanno patito il carcere e l’esilio, finisce con una carrellata di quella che è la transigenza nociva degli attuali dirigenti dell’opposizione, quelli che dovrebbero opporsi allo sfascio politico e culturale della cosa pubblica. E, dopo aver elencato tutti i motivi per cui “Bettino Craxi è morto ad Hammamet latitante, non esule”, cita la sua difesa da parte di Fassino e di Veltroni, che hanno dichiarato che lui è stato un innovatore della sinistra, nonostante i suoi crimini. Questa transigenza, questo non voler apparire “cattivi”, questa abitudine a scusare tutto o molto negli altri e in noi stessi, ed aspettarci che gli altri tollerino nello stesso modo le nostre mancanze, è un difetto dal quale penso che la maggior parte delle persone non sia immune, e per questo dico che il libro ci chiama in causa in prima persona. E ci esorta ad abbracciare la “religione della libertà” amata da Benedetto Croce, una religione che “non accetta di staccare l’uomo dal cittadino, l’individuo dalla società che lo forma e che esso forma”. Ecco, quest’ultimo principio è forse quello più importante, quello che andrebbe scritto in tutte le scuole, uffici, e pagine facebook; perché, e per colpa della nostra generazione che negli anni ‘70 in piazza scandiva slogan contro lo Stato, quasi nessuno si sente cittadino, e nessuno si riconosce come Stato, confondendo lo Stato, formato dai cittadini, con il governo, che tale Stato ha il compito di amministrare, e invece di amministrare fa qualsiasi altra cosa.

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