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Mario Socrate

Di: Bookworm | 06/04/2012
Mario Socrate, Favole paraboliche, Feltrinelli, 1961.

Gli animali
Le acque plasmavano nutrimenti terrestri,
l’aria scaturiva energia di molecole,
e le terre traboccavano ormai tutte
d’umanità da tutti i confini.
Così, isolata nelle riserve,
prostrata di nostalgia per i perduti pascoli,
in una pena come di lunga siccità
passava gli ultimi giorni,
tra l’offuscarsi di penne, di pelli e di squame,
la rimanente specie animale.
E quanti di quella, in un recupero
Di millenni smarriti, riemersi
Erano alla parola, pastori-interpreti
Ora di razze d’animali,
bestie dal triste sorriso,
vennero per loro i popoli
agli uomini capi dal viso
del pallido mattino, del tramonto
e della nera notte.
Come una preistoria l’antichissima
Lingua narrava la tristezza delle genti
Animali, esodi e fughe, con l’uomo
E dall’uomo; e l’uomo riconobbe
Nel bestiale sorriso
Il fratello tornato c’era perduto.
Ma a che serviva se così pochi solo
Erano gli esemplari risaliti
Al pensiero, di tanti altri, di tutti i loro
Ancora ricacciati nell’istinto?
E gl’interpreti chiesero un’altra terra,
in qualche spazio, agli albori,
una terra da rivivere tutta ancora,
e non restare a morire nelle riserve,
ospizio d’incurabili, di quelli
senza più speranza di raggiungere l’uomo.
E l’uomo ebbe pietà e ricordo.
E partirono arche d’astronavi
Per una terra senza uomo ancora.
Giunsero, al freddo d’una luna
A picco sopra mari gelati:
e, tra le torme di giganti erbivori barrenti,
tra branchi d’ogni sorta di scimmie,
lì, spento il triste sorriso,
nelle orde dove affamato l’uomo ululava
ancora indifferenziato,
lì i pastori-interpreti guidarono
gli atterriti popoli animali,
a correre, a imbrancarsi, a morire,
concime della vita, come sempre.

Una poesia scritta nell’inverno 1957/58 da un uomo di 37 anni; un uomo che aveva combattuto nella resistenza, che per tutta la vita ha lavorato e vissuto con coerenza per un ideale sinceramente comunista, con la speranza e l’impegno, freschi nel ’57 dopo la caduta del fascismo, probabilmente delusi al momento della morte a 92 anni il 27 marzo di quest’anno, di ricostruire una società in cui le persone collaborassero per il bene comune, in cui gli intellettuali prendessero a cuore il loro compito di pensatori, insegnanti e guide, liberi da servitù economiche o ideologiche, intransigenti nella ricerca di nuove strade di verità e progresso morale, sociale ed etico. Il suo funerale non ha tradito l’idea di una vita; è stato laico, nel tempietto egizio del Verano, con un trio di musicisti che suonavano Mozart, la proiezione dello spezzone del Vangelo secondo Matteo di Pasolini del 1964, nel quale Mario Socrate recitava Giovanni Battista, familiari ed amici che leggevano le sue poesie, e un gatto nero che, con il senso della scena proprio dei gatti, è entrato a farsi le unghie sul tappeto rosso ai piedi del feretro, ha guardato serio ma un po’ ironico il pubblico, ed è uscito da una porta dietro le quinte. Un funerale aperto a tutti gli amici, tutti i credi, tutti i pensieri, senza un rito a guidare le emozioni, lasciando a tutti una libertà un poco imbarazzata, perché non ci siamo più abituati. E il pensiero più grande, e più amaro, è che queste grandi menti, questi grandi cuori che stanno morendo uno dopo l’altro, che hanno fatto tanto e dato tanto, spesso a caro prezzo per se stessi, noi tutti li abbiamo traditi e li stiamo tradendo, adagiandoci sulle conquiste che loro hanno fatto per noi, e lasciandole crollare e marcire lentamente sotto la nostra ignavia di riciclatori di pensiero.

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