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I pilastri della terra

Di: Bookworm | 23/03/2012
I pilastri della terra, (Mondadori, 15 €), è un romanzo storico scritto da Ken Follett nel 1989. E’ ambientato nell’Inghilterra del xii secolo, durante il periodo di guerre civili dovute alla lotta per il trono fra l’imperatrice Matilde, figlia del re Enrico I, e suo cugino Stefano. Lo stesso periodo scelto da Ellis Peters per la sua serie di romanzi gialli ambientati in un monastero, con il frate-detective fratello Cadfael, scritti fra il 1977 e il 1994. La situazione politica così confusa e le lotte di potere e i continui voltafaccia dei nobili dell’epoca forniscono un teatro ideale per un romanzo, e la riscoperta della storia vista dalla parte degli umili, dei contadini, muratori e briganti che nella politica dell’epoca, e nei libri di Storia che la raccontano, contano meno del bestiame, è un ingrediente di sicuro fascino.
Il libro di Follett è ambizioso, non si limita alla cornice di un giallo con le lotte intestine dei nobili in sottofondo, che a volte interferiscono con le vite dei protagonisti. Segue per cinquant’anni la storia di una cittadina immaginaria nel sud dell’Inghilterra, sede di un priorato e di una cattedrale in grave stato di abbandono all’inizio del libro, che con l’arrivo di un nuovo priore viene riorganizzata e rifiorisce, e il vero fulcro del racconto è appunto la ricostruzione della cattedrale e tutto ciò che questo rappresenta, moralmente ed economicamente per i protagonisti e in generale per gli equilibri sociali della regione.
Follett ci illustra, tramite il bel personaggio di Tom il muratore, il nascere di una nuova concezione di architettura, lo sviluppo in Inghilterra di tecniche ingegneristiche che iniziavano a fiorire in Francia, ed è affascinante scoprire per esempio che il disegno architettonico era pressoché sconosciuto anche nei ceti più istruiti dell’epoca, e che le unità di misura variavano di luogo in luogo, di regione in regione, mantenendo lo stesso nome ma cambiando nella sostanza. Anche la gestione dei commerci è illustrata bene, le tasse sui mercati, il commercio internazionale della lana, lo sfruttamento di pascoli, foreste e cave hanno una parte importante nella trama. Sono meno approfondite le descrizioni della vita quotidiana, per esempio dei metodi di coltivazione, conservazione e cottura degli alimenti, anche se qualche descrizione c’è, soprattutto nella prima parte, per dare coerenza all’ambientazione, e per trasmettere il concetto che nel nostro secolo è molto difficile da tenere a mente, che anche i nobili camminavano su freddi pavimenti di pietra e una cassapanca era un bene di lusso, tanto più i pochi abiti e gli averi che poteva contenere.
Quello su cui l’autore insiste molto, oltre che naturalmente sui giochi di potere fra nobili, regnanti, e chiesa, e tutte le corruttele e le ricadute sulla vita del paese che ne conseguono, è la condizione di assoluta sottomissione degli umili, spesso costretti in miseria e ridotti al brigantaggio per un capriccio o un errore del loro signore. E la condizione delle donne, le povere considerate quanto bestie da soma e da riproduzione, e le nobili solo merce di scambio. Naturalmente è vero, tant’è che la stessa anarchia inglese era nata dal fatto che il re morto non aveva lasciato eredi maschi, la regina Matilde non poteva governare in quanto donna, e il marito che avrebbe dovuto prendere il potere in sua vece non era bene accetto agli inglesi. Ma è anche facile fare l’autore femminista partendo da queste basi. Il libro è abbastanza farcito di scene di sesso, non eccessivamente insistite, ma abbastanza esplicite da renderlo quel tanto più affascinante per molti lettori. Inoltre i maschi sono per la maggior parte dipinti come dei bruti dal punto di vista sessuale, violenti e insensibili e determinati a sfogare sulle donne (mogli, amanti, prostitute, vittime di stupro) tutti i loro sensi di inadeguatezza o frustrazione . Nella sostanza era sicuramente così, ma il fatto di presentare ogni atto come l’effetto di una causa, come un esempio di un manuale di psicologia, di spiegare, anzi praticamente di sillabare il complesso di Edipo del protagonista “cattivo”, come nasce, si sviluppa, come la violenza nasca da un rifiuto di ammettere le proprie debolezze, tutte queste cose che sappiamo, che abbiamo studiato, che ci sono state raccontate in tutte le salse, questo davvero non funziona nel libro. Perché scrivere pagine di spiegazioni per un’azione che si spiega da sola, se viene raccontata bene? Un buon narratore riesce a costruire la tensione e poi a scioglierla senza bisogno di spiegarla, le azioni sono conseguenze logiche degli avvenimenti precedenti, o se sono illogiche c’è sicuramente una spiegazione in tutto quello che è accaduto prima. Qualcuno ha detto che Amleto non avrebbe mai potuto avere un lieto fine, e la grandezza delle tragedie di Shakespeare sta nell’inevitabilità della soluzione finale. E Shakespeare non spiegava nulla, faceva solo accadere cose, un seguito di avvenimenti in un arco di circa due ore di rappresentazione, che sfociavano nella loro catarsi, e contenevano tutti i complessi, le frustrazioni, i motivi che spingono al coraggio o alla disperazione. Tutte le illustrazioni psicologiche sanno di brodo allungato, o di paura di non essersi fatto capire. Io non ho visto la serie televisiva, anzi non sapevo che esistesse fino a poco fa quando cercando su wikipedia la data di pubblicazione originale del libro ho trovato praticamente tutti i filmati su youTube, ma forse in questo caso la televisione può aver migliorato il libro, perché sicuramente i tagli inevitabili non potranno che aver ripulito un racconto affascinante dal superfluo che lo appesantisce.

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