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MIRO'! POESIA E LUCE

Di: Marcello Berlich | 21/03/2012
ROMA, CHIOSTRO DEL BRAMANTE, FINO AL PROSSIMO 10 GIUGNO "Questo però, avrebbe potuto farlo anche un bambino": è una frase che viene spontanea, davanti a tante opere di arte contemporanea, e lo fa ancora più spesso, e forse con più forza, proprio davanti a molti dei quadri esposti nella mostra dedicata al pittore spagnolo. La questione è già stata abbondantemente dibattuta e sviscerata, senza tuttavia perdere la sua 'forza': insomma, è come se da qualche decennio a questa parte, esplorato più o meno tutto l'esplorabile in tema di arte figurativa, ci sia messi alla ricerca dell'essenziale, del ritorno alle 'origini', o ad una 'istintività fanciullesca'. Pollock aveva proposto come soluzione il 'lasciarsi andare', attraverso il semplice sgocciolio sulla tela, una tecnica che Mirò riprende, affiancandogli quella, primitiva, dell'intingere le dita nel colore usandole come pennelli, o imprimendo sulla tela la semplice impronta delle sue mani. Mirò, che affianca a questa tecnica l'ampio utilizzo di 'segnacci' di nero, arricchiti di volta in volta con macchie di colore, o utilizzando come accompagnamento cromatico la superficie pittorica stessa (non solo la tela, ma anche compensato, masonite, carta vetrata), riproducendo paesaggi o personaggi per il quale il termine 'stilizzato' rappresenta un eufemismo; da notare, il fatto che la stragrande maggioranza delle opere è senza titolo, della serie: "ognuna ci veda un pò ciò che gli pare"... Tecnica a parte, il punto resta: 'quel quadro lo poteva disegnare anche un bambino di tre anni'... e allora la domanda diventa se forse non sarebbe più onesto esporre nei musei i disegni dei bambini delle elementari, di fronte ai quali le 'grandi opere' di certi pittori contemporanei assurgono al ruolo di 'pallide copie'. Qualcuno dirà che però "di mezzo c'è stato un 'percorso'"... obiezione valida, ma se poi ti senti dire dagli stessi protagonisti che il loro ispirarsi alle pittore murali delle grotte di Altamira è voluto, o che la loro è la ricerca del 'gesto istintivo, privo di sovrastrutture', ossia dello stesso gesto tipico, appunto, delle menti ancora prive di condizionamento dei bambini piuttosto che delle tribù primitive, sulle quali non avevano influito secoli di 'sovrastrutture culturali', allora, siamo da capo. Non se ne esce. Non so perché questa mostra mi abbia condotto più di altre a queste riflessioni: forse perché Mirò supera in quanto a essenzialità, a ricerca del 'tratto primitivo' tanti altri contemporanei, fatto sta che alcune delle opere esposte, specie certi piccoli schizzi a inchiostro, non hanno nulla a che invidiare agli scarabocchi che fanno i ragazzini delle elementari... e allora la questione resta lì, irrisolta, ad aleggiare nell'aria... L'esposizione dedicata a Mirò merita comunque una visita, tra quadri policromatici e altri dominati dal bianco e nero, materiali 'consueti' ed altri più arditi, qualche scultura (che utilizza materiali e oggetti di uso quotidiano), e la riproduzione del suo studio a Palma de Maiorca: la mostra si concentra infatti sul periodo in cui Mirò si trasferì lì, sequendo il proprio retaggio materno. Arricchito da un breve video, il percorso è forse un pò troppo interrotto da corridoi e disimpegni (per quanto spesso utilizzato per mostre di questo il Chiostro del Bramante non mi pare sia il massimo, come sede espositiva). Schiacciata dalla mostra dedicata all'Avanguardia Americana, e dall'evento dell'anno dedicato a Dalì, l'esposizione di Mirò rischia forse di passare inosservata, il che, sarebbe tutto sommato un peccato: il consiglio è di trovare il tempo per andarci: se non altro, la prossima volta che vostro figlio vi porterà un suo 'disegno', potreste sempre appenderlo in salotto, spacciandolo per un Mirò...

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