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IL GUGGENHEIM

Di: Marcello Berlich | 14/03/2012
L'avanguardia americana 1945 - 1980
Roma, Palazzo delle Esposizioni, fino al 6 maggio
Questo primo scorcio di 2012 regala ai patiti dell'arte contemporanea un pasto ottimo e abbondante, con le personali dedicate a Mirò e a Dalì (quest'ultima un vero e proprio 'evento') e con questa antologica dedicata al Guggenheim.
Qualcuno tra l'altro forse ricorderà che nel 2005 al Guggenheim venne dedicata un'analoga esposizione, alle Scuderie del Quirinale; in quel caso, però si trattava di una mostra organizzata soprattutto per portare in Italia un gran numero di opere, prima mai viste qui da noi.
Stavolta, invece, il percorso espositivo, come dice il sottotitolo, si concentra sulla scena americana dal secondo dopoguerra in poi.
Partendo dalla Scuola di New York e dall'Espressionismo Astratto, al Fotorealismo, passando per il Minimalismo, la Pop Art, l'Arte Concettuale, nelle sette sale presenti, il visitatore è posto di fronte ai principali filo dell'avanguardia americana.
Il 'roster' è di quelli di primo piano: tra gli altri, nelle prime due sale, dedicate al Surrealismo e alle sue evoluzioni troviamo Rothko (presente anche con alcuni dei suoi lavori a 'macchia di colore', più tipici del periodo minimale) e Pollock, con le sue tele sgocciolate e con quelle ugualmente 'caotiche', ma un filo meno 'istintive': Ocean Greyness è forse una delle opere esposte più conosciute, e senz'altro una delle più inquietanti, superata solo da The Atom One World, di Pousette - Dart).
Da quest'atmosfera un filo plumbea, dominata dai demoni dell'inconscio, si passa al 'Systemic Painting', all'insegna di uno studio 'asettico' di forme e colori, ma che di colori - sgargianti e luminosi - è un trionfo: Harran II di Frank Stella, domina sul fondo della sala, con la sua magnificenza cromatica; la sezione dedicata alla Pop - Art è ovviamente dominata da toni ironici, tra un Warhol (Orange Disaster 5) e un paio di Lichtenstein (il celeberrimo 'cane grignante' di Grrrrrrr e l'altrettanto famoso 'In') ci si trova di fronte al monumentale Barge (dieci di metri lunghezza) di Robert Rauschenberg.
Da qui la mostra prende sentieri impervi: con la scultura Minimalista si indaga il rapporto dell'opera d'arte con il contesto in cui è inserita, come nel caso dei tubi al neon di Flavin, o con lo spettatore: le le lastre di rame Carl Andre permettono allo spettatore di camminare sull'opera d'arte (e di mettersela letteralmente 'sotto i piedi'), un discorso che prosegue con l'Arte Concettuale, con opere comeWater di Jospeh Kosuth, che consiste nella semplice stampa della descrizione del termine ricavata da un dizionario, o come l'installazione che testimonia l'opera di Bruce Nauman: uno stretto corridoio al termine del quale il visitatore vede sè stesso ripreso da una telecamera.
Dopo questa 'full immersion' in queste forme d'arte 'estrema', di fronte alle quali finisce per essere lecito porsi la classica domanda: "ma è arte?", con l'ultima sala si torna a modelli più 'consueti', sebbene ugualmente 'densi' da un punto di vista concettuale: il Fotorealismo ricostruisce la realtà, appunto tramite la riproduzione il più fedele possibile della tecnologia fotografica, con esiti per certi versi stupefacenti, come nel caso del camion da Kleeman, o della veduta dello stesso Guggenheim riprodotta da Estes.
Una mostra che come tutte quelle del suo genere solleticherà i palati dei più curiosi e predisposti a forme d'arte che prescindono dal mero 'figurativo', e che come al solito, per le peculiarità di alcune opere esposte è particolarmente indicata anche a un pubblico di famiglie, visto che gli spettatori più piccoli di fronte a certe opere non potranno certo esibire gli sbadigli che in loro suscita la gran parte dei musei...

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