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James Hadley Chase e le spie

Di: Bookworm | 09/03/2012
Amo i gialli come letteratura d’evasione, ma non amo molto i romanzi d’azione, soprattutto di spionaggio; sono più a mio agio con la capacità di osservazione di Miss Marple (ovvero l’interesse nella natura umana, in parole povere la curiosità un po’ pettegola che è uno dei miei difetti e dei miei piaceri).
Comunque, pescando un poco alla cieca negli scaffali dei gialli, mi è capitato fra le mani “Mission to Venice” di James Hadley Chase, 1954 (tradotto in Italiano nel ’64 come “Il muro del silenzio”, nessuna ristampa attualmente disponibile, né dell’originale né della traduzione). Chissà, forse perché in copertina c’è una ragazza legata ad una sedia con ai piedi il lavoro a maglia che le è evidentemente caduto quando l’hanno sorpresa, lo ho letto tutto, ed è stata un’evasione abbastanza piacevole.
La storia è un classico: Il milionario americano che si diletta a fare il detective, la richiesta di aiuto di una bella ragazza inglese il cui marito è scomparso, la freddezza delle autorità britanniche che fa pensare a una storia di spionaggio e tradimento in piena Guerra Fredda, la ricerca che si sposta a Venezia, teatro ideale sia per la cornice romantica, sia perché gli italiani sono notoriamente generosi, coraggiosi, ma anche corruttibili e facilmente adescabili dai cattivi, che tra l’altro non sono russi, ma est europei. L’azione è continua, travolgente, improbabile, romantica, pittoresca come nei migliori film di James Bond.
L’autore, nato in Inghilterra nel 1906, ambientava spesso i suoi racconti negli Stati Uniti, aiutandosi con guide turistiche delle località interessate, e dizionarietti del gergo yankee. Dopo la sua morte nel 1985 si è scoperto che aveva lavorato per i servizi segreti inglesi. Questa per me è stata una sorpresa, perché leggendo il libro, pieno di sentimenti nobili ed eroici, fughe rocambolesche, scazzottate improbabili, sopravvivenze impossibili, e soprattutto di una certezza assoluta ed invidiabile di cosa è giusto e cosa è sbagliato, chi sono i buoni e chi i cattivi, mi era sembrato un racconto un poco Salgariano, avventure scritte da chi non esce quasi di casa e può quindi immaginare le cose più improbabili.
Negli anni della Guerra Fredda il tema dello spionaggio si intrufolava in moltissima narrativa, anche in quella di altri generi. In parte era un retaggio della guerra, quando soprattutto nei paesi dell’Alleanza chiunque poteva essere una spia del nemico, ed erano diffusi i manifesti con un dito davanti alla bocca: “Taci, il nemico ti ascolta!” (in Italia bisognava temere i delatori più delle spie, a pensarci bene); ma la contrapposizione dei blocchi comunista e capitalista, con la minaccia di una guerra atomica, ha mantenuto per decenni i Servizi Segreti nel quotidiano dell’immaginario collettivo, e la nobiltà d’animo pronta a sacrificare tutto per il bene comune superiore era il modello indiscutibile a cui aspirare.
Ora che le armi atomiche sono passate in secondo piano, gli ideali anche, la Guerra Fredda è ufficialmente finita, questi libri sono spariti, non vengono più ristampati. Per trovare lo stesso ritmo travolgente di eventi ci si affida alle battaglie fantasy, agli intrighi medioevali o dell’Impero Romano. Ma non credo che le spie siano andate in pensione. Lavorano con i computer, e lavorano sui centri nevralgici dell’economia, scavalcando le strutture militari. E’ vero, ci sono gli attentatori, i paesi “cattivi” sono i fondamentalisti con le bombe, anche quelle atomiche, ma le dinamiche sono cambiate, l’attenzione del pubblico viene concentrata sulla paura dell’evento incontrollabile, l’attentato in metropolitana, l’antrace nella posta. Non viene più indicato un modello di onestà e rettitudine per difendere la società o l’ideale, non è più con la generosità e la solidarietà verso il nostro prossimo che possiamo combattere un eventuale nemico. La geografia è cambiata, e la morale si è sgretolata. La guerra vera, feroce e devastante che è in corso non ce la fanno nemmeno intuire, eppure le spie che muoiono, vengono uccise, torturate, avvelenate, ogni tanto vengono a galla, ma solo per essere subito spazzate sotto a un tappeto di fumosa confusione. Ho l’impressione che lo spionaggio industriale e soprattutto quello finanziario siano molto più potenti dei vari servizi segreti nazionali, e non operino per il bene o il male di un paese, o di un modo di concepire il mondo. E’ un gioco talmente grande che non ci sono più buoni e cattivi, e talmente al di là dell’immaginazione che non ci si possono costruire romanzi.
Quanto mi manca l’etica di Mata Hari!

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