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LIBERTA' O MORTE!

Di: il Bisbigliatore | 27/02/2012
In memoria di Marie Colvin e Remi Ochlik

Ricordo di aver provato una strana sensazione, moltissimi anni fa, uscendo dal cinema dove avevo appena visto “DIRITTO DI CRONACA”, il film cui Sidney Pollack era forse più legato tra quelli da lui diretti. Lo amava perchè, al di là del discorso sulle responsabilità o sui meriti dei giornalisti nello svolgere correttamente o meno il loro lavoro, come raccontato in molte pellicole, questa si preoccupava di porre in evidenza soprattutto l’intrinseco potere della stampa di influire comunque nella vita delle persone, nel bene e nel male, a volte con effetti irrimediabilmente distruttivi. Smisi di amare incondizionatamente l’idea di quella professione. Pur riconoscendone il valore fondamentale all’interno di una democrazia degna di essere chiamata tale, soprattutto a causa della strabiliante evoluzione dei media oggi sembrano aumentati a dismisura coloro che fanno male il loro mestiere, per dolo o per incompetenza che sia.
Eppure esiste una figura di giornalista la cui grandezza non potrà mai essere scalfita da quelle sbiadite e insopportabili dei colleghi mercenari che affollano i salotti televisivi in una sorta di giostra a rotazione perpetua. Tronfi del loro ruolo di esperti di politica, di cronaca, di costume, di sport, di tutto quello che serve per giustificare la loro presenza sul piccolo schermo e per placare la loro sete di popolarità riflessa, sempre pronti ad esplodere nell’invettiva mascherata da crociata a favore della libertà di informazione, maestri dell’affabulazione fumosa, dell’aggressione verbale, in realtà strenui difensori delle posizioni cavalcate da chi gli riempie le tasche.
Esistono giornalisti che svolgono il loro lavoro lontano dalle telecamere, dai riflettori, costretti a vivere nascondendosi, fidandosi dei “fantasmi” che incontrano nei luoghi dove decidono di cercare verità diverse da quelle propinate dalle fonti ufficiali, troppo spesso attente solo all’effetto propaganda. Gente che affronta la paura, non la nega, ne fa un’arma che gli permette di entrare in profondità nelle ferite peggiori del Pianeta Terra, quelle continuamente infettate dall’odio tra gli uomini.
Esistono giornalisti che potrebbero vivere di rendita, dedicarsi ad altro, adagiarsi sul lavoro svolto in questo o quel paese martoriato e insanguinato, proteggersi dietro lo scudo delle ferite riportate, dietro l’orgoglio di aver sacrificato una parte del loro corpo e della loro vita per difendere un’idea estrema di verità e di libertà. E che, invece, non possono fare a meno di tornare in quei feroci teatri nei quali hanno visto e toccato l’orrore assoluto.
Questi giornalisti hanno sostituito il taccuino dei loro predecessori con un computer portatile, la telecamera digitale e un telefono satellitare che gli consente di rimanere agganciati al resto del mondo, quello in cui “regna la pace”. Ma la loro arma più grande, oggi come in passato, trascende qualsiasi innovazione tecnologica; è misteriosa, innata, un incantesimo che scaturisce direttamente dal cuore di alcuni uomini, di alcune donne e li rende diversi e indispensabili. E’ il coraggio.
Esistono giornalisti ai quali non dovrebbe mai essere negata la nostra profonda riconoscenza, perché ci ricordano che quella umana può essere ancora una razza nobile: i corrispondenti di guerra.

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