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LA FABBRICA DEI SOGNI

Di: il Bisbigliatore | 02/01/2012
"Finché esisterà almeno un laboratorio che svilupperà e stamperà pellicola, io continuerò a girare film in pellicola" diceva qualche anno fa Steven Spielberg dopo aver contribuito in maniera decisiva, con l’amico George Lucas, a proiettare la settima arte nel mondo del futuro. Forse quell’ultimo laboratorio scomparirà prima del regista di E.T. e la pellicola diventerà presto solo un ricordo. Eppure le sue parole sottolineano meglio di altre l’inconfondibile e precaria magia che accompagna il cinema fin dalla sua nascita.
Non credo sia giusto incolonnare i film in una classifica, dare un ordine di valore ad opere diverse tra loro per stile, argomento, tecnica e mezzi, in un settore in cui la disponibilità economica influisce in maniera decisiva sulle potenzialità tecniche e creative di un’opera cinematografica, nonchè sulla sua distribuzione. L’anno appena trascorso ha visto uscire sui grandi schermi parecchi lavori interessanti a dimostrazione che quella magia resiste tutt’ora, grazie ma anche a dispetto dell’irrefrenabile e, ormai, rapidissimo progresso tecnologico.
Sono sempre più numerosi, ad esempio, i film ispirati alle vicende dei supereoi un tempo praticamente impossibili da realizzare e oggi, invece, straordinariamente credibili dal punto di vista figurativo; tuttavia spesso privi di profondità e, nonostante effetti speciali strabilianti, mai all’altezza delle aspettative emozionali dei vecchi lettori di quelle storie, la cui immaginazione veniva scatenata grazie ai disegni che guizzavano tra le pagine di quegli albi. Oppure i lavori che ricorrono all’innovazione delle immagini in 3D, utilizzate ormai frequentemente più per garantire ai film che ne sono dotati un vantaggio in un mercato sempre più dettato dalle mode e dalle innovazioni tecnologiche, che non per evidenziare i contenuti delle vicende narrate. Non mancano gli esordi interessanti di giovani cineasti dotati di sicuro talento, le pellicole di stampo classico, quelle di genere, quelle firmate dai grandi autori, i ritorni più o meno riusciti dietro la macchina da presa di registi che hanno caratterizzato le passate decadi con il loro stile innovativo e personale. Resistono anche i piccoli film indipendenti e/o quelli a basso budget che, grazie alla spinta ricevuta dai festival, continuano a lasciare il segno per l’approccio semplice e poetico con cui raccontano storie normali, vicine al mondo personale di molti spettatori. E sono ormai a portata di sala opere prodotte in ogni parte del pianeta, appartenenti a cinematografie un tempo frequentabili solo nelle sale di proiezione dei suddetti Festival. La tecnologia digitale ha aperto le porte della settima arte praticamente a chiunque abbia voglia di cimentarsi col mondo delle immagini in movimento, anche a coloro che non sentono la necessità di raccontare nulla e, ciononostante, lo fanno comunque.
Eppure, volendo ad ogni costo identificare i titoli che hanno marchiato a fuoco la stagione cinematografica appena trascorsa col segno indelebile dell’opera d’arte, non si può non pensare ai film di Terrence Malick, Lars Von Trier e Wim Wenders. Questi tre autentici Spiriti Liberi della macchina da presa hanno assecondato il loro potente talento visionario rinunciando, forse definitivamente, a percorrere la strada del racconto tradizionale, dello sviluppo razionale della trama, imboccando quella ben più ardua della pura rappresentazione poetica attraverso la fusione di immagini e musica già sperimentata dal grande Stanley Kubrick in 2001: ODISSEA NELLO SPAZIO. L’hanno fatto raccontando storie nelle quali il fulcro è semplicemente l’essere umano, con le sue grandezze e le sue debolezze. L’hanno fatto utilizzando la tecnica e la tecnologia per commuovere e non per stupire. E, soprattutto, l’hanno fatto non per pochi intellettuali privilegiati ma per il cinema di grande distribuzione, per il circuito delle sale frequentato dal grande pubblico. Con l’auspicio, forse, di instillare nel cuore e nella mente del maggior numero possibile di persone, al sicuro nel buio della sala cinematografica, il desiderio di abbandonarsi al flusso di un’esperienza sensoriale entusiasmante, capace di sgretolare le “gabbie” e le “censure” imposte dall’arrogante ricerca della razionalità ad ogni costo. Nell’era del dominio mediatico, della società ipertecnologica e della competizione ad ogni costo il cinema, con la sua inconfondibile e precaria magia, è ancora, forse, la fabbrica dei sogni...

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