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Cassandra nell'Ottocento

Di: Bookworm | 16/12/2011
Questa volta si tratta di un libro del 1878 (seconda edizione, ma non sono stata capace di risalire alla prima, né ad alcuna notizia sull’autore): “Cassandra, racconto del secolo XVI”, di Giovanni Villanti, edito appunto nel 1878 da Edoardo Sonzogno. La prefazione dell’autore è comunque datata 1871.
E’ un romanzo storico, nel senso che i personaggi sono tutti storici, i fatti salienti sono supportati da documenti d’epoca e libri di storia, abbondantemente citati nelle note a piè di pagina. L’autore pesca nel torbido dei fasti e degli scandali della corte medicea nella seconda metà del 1500, presentando come storia edificante un torbido intreccio di tresche e vendette, adulteri e assassinii. La protagonista è una nobile vedova fiorentina che per salvare il fratello dall’esilio chiede la grazia al Granduca di Toscana Francesco I dei Medici e viene da lui sedotta. Inoltre, per ingarbugliare la storia, si innamora dell’amante dell’amante del Granduca – non ho sbagliato a scrivere: Cassandra si innamora perdutamente di tal Bonaventuri, che ha tentato di sedurla, e lui è l’amante (e poi il marito) di Bianca Cappello, nobile veneziana fuggita in incognito da uno scandalo nella sua città natale, che per ottenere favori e ricchezze per il Bonaventuri diviene l’amante del Granduca. Costui è presentato come un mostro di iniquità e libertinaggio, che si diletta di esperimenti alchemici ed ha trascinato la sua corte in un baratro di lussuria e sregolatezza. Tenta inoltre di avvelenare la moglie, attentato sventato dalla nostra Cassandra, e fa uccidere il marito dell’amante dai suoi sgherri, cattivissimi, travestiti fra le maschere del carnevale.
Il racconto si snoda fra intrighi internazionali, non solo con la Spagna, ma anche con la Repubblica di Venezia, che era ben altra cosa dal Ducato di Toscana, e giochi di potere, non fra partiti ma fra le diverse famiglie, e la povera innocente protagonista paga il fio dell’ambizione del fratello e dell’amato, e della lussuria di questi e del Granduca. Il fatto che alla fine, dopo una serie di colpi di scena degni delle peggiori telenovele, si scopra che dall’episodio (unico, ed era stata drogata e quindi era incosciente) con il granduca ella sia divenuta madre – che fine abbia fatto il frutto della colpa non è dato saperlo, perfino i familiari più stretti ne erano all’oscuro – e che ci venga fatto intuire che l’affetto fra lei e il fratello sia in realtà una passione incestuosa, anche se probabilmente mai consumata, non sembra diminuire la sua immagine di virtù e innocenza agli occhi dell’autore. Cercando i fatti storici ho trovato le figure di Bianca Cappello e della moglie del Granduca, e si direbbe che l’autore abbia preso il meglio di entrambe per creare la sua Cassandra, ma nel suo modo di presentare tutti e tre i personaggi femminili, cattivi o buoni, il messaggio è chiaro: Le donne hanno più buonsenso e dignità degli uomini, ma le regole della società le snaturano e le costringono ad annullarsi oppure a divenire mostri di perfidia per ottenere un minimo di autonomia e rispetto.
Diversamente dagli attuali romanzi storici non ci viene mostrato specificamente il modo di vita medioevale, non sappiamo dove e come si lavavano, cucinavano o smaltivano i rifiuti, gli accenni alla praticità della vita quotidiana sono solo quelli casualmente necessari alla narrazione, probabilmente perché nel 1878 i dettagli non dovevano essere così diversi da quelli del 1500, è stata l’elettricità e la meccanizzazione a cambiare tutto nelle case. Il fascino del libro, oltre che nel linguaggio che è tremendamente e meravigliosamente diverso dal nostro di 135 anni dopo, è nella naturalezza con cui vengono presentati appunto quel modo di vita, che a noi sembra quasi di sopravvivenza, mentre stiamo in realtà parlando di famiglie nobili e ricche, e quei tabù, per esempio le donne non potevano uscire senza uomo per fare la spesa, dovevano farla dai venditori porta a porta, che sono rimasti uguali per secoli e che a noi sembrano più lontani della vita su Marte.
Parlando della civiltà e della politica odierna diciamo che ci manca la memoria storica, e ci riferiamo agli anni cinquanta, settanta del 1900. Ma la memoria storica dei secchi d’acqua portati su per le scale per fare qualsiasi cosa, delle epidemie nelle città senza fognature, della ricchezza degli addobbi per i balli dei nobili, che erano in realtà solo mazzi di fiori e rami frondosi messi in bella mostra nelle stanze alla luce di tante costose candele, che per le nostre abitudini sarebbero povera luce e colore anche per una sagra di paese, quella memoria davvero noi figli del boom non l’abbiamo mai avuta, e forse dovremmo rendercene conto.

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