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Canale Mussolini di Antonio Pennacchi

Di: Bookworm | 18/11/2011
L’impressione più forte che resta quando si è finito di leggere Canale Mussolini di Antonio Pennacchi (Mondadori 2010, € 14), è quella di aver goduto del risultato di una mole di lavoro davvero imponente. Non è solo perché alla fine troviamo cinque pagine fitte fitte di riferimenti bibliografici e ringraziamenti a collaboratori. Il compito che si è accollato l’autore è quello di abbattere forse il più grande tabù degli ultimi settant’anni in Italia, raccontare il fascismo in modo imparziale, senza etichettare buoni e cattivi, senza prendere posizione, semplicemente raccogliendo e raccontando un’infinità di fatti e di ricordi, fatti ricordati da persone che hanno vissuto nel bene e nel male quegli anni e quei cambiamenti.
E’ un fatto che Mussolini era inizialmente socialista, è un fatto che molti socialisti, comunisti e anarchici lo hanno seguito nell’avventura fascista, è un fatto che non tutti i fascisti fossero cattivi e non tutti i comunisti fossero buoni, è un fatto che la maggior parte delle persone cambia opinione e bandiera a seconda delle convenienze oltre che delle paure. E da questi discorsi siamo sempre fuggiti inorriditi, perché sembrano indicare una rilettura della storia che temiamo possa riaprire la porta ad una dittatura, un errore ed un orrore di cui ancora gli italiani si vergognano. Eppure è storia, siamo andati avanti, c’è stato il boom economico, il ’68, l’uomo sulla luna, gli anni 70, è caduto il muro di Berlino, è finita la guerra fredda, siamo uno dei paesi dell’Unione Europea. Non ci verrebbe mai in mente di vergognarci per quello che hanno fatto gli antichi romani, non temiamo il ritorno del feudalesimo o dell’inquisizione (mentre di queste due ultime cose forse dovremmo preoccuparci), perché non riusciamo ad affrontare venti anni di storia di cui quasi tutti i partecipanti, e tutti i protagonisti, sono ormai morti? Come fa notare il libro, “l’ultimo dei Savoia canta a Sanremo.”
Pennacchi affronta proprio questa domanda con molto garbo e un’ironia quasi toscana, se non fosse che lui è di Latina. La prende di petto senza farla mai direttamente, ma dando risposte molto chiare; non si esce puliti da una guerra civile, quello che avviene quando si viene trascinati in una situazione simile si può solo cercare di dimenticare, perché stravolge, oltre che tutti i principi di correttezza e solidarietà che società e religione ci hanno sempre giustamente insegnato, anche tutti gli istinti di conservazione della razza umana, che vive in clan, e dal clan trae sostentamento e difesa. E allora gli altri, chiunque fossero, devono essere cattivissimi, senza speranza, senza appello, perché altrimenti le uccisioni, le rappresaglie, gli stupri e le distruzioni, fatte da entrambe le parti, chi più chi meno nelle diverse realtà locali, ma soprattutto il lavarsene le mani, non si riescono non dico a giustificare, ma nemmeno ad affrontare, a concepire come cosa realmente compiuta da esseri umani nostri simili, o da noi stessi.
Il racconto si impernia sulla migrazione di una famiglia di poveri agricoltori veneti per prendere parte alla bonifica delle paludi pontine, racconto che si rincorre avanti e indietro negli anni e nei luoghi, la prima guerra mondiale, la fame, la nascita del fascismo, la fame, la bonifica, la fame, la guerra in Africa, la fame, la fame sempre presente, realtà costante di vita, anche per chi un tetto sulla testa l’aveva, e i polli, il maiale da ammazzare in inverno, la fame che noi non sappiamo immaginare e che era stata per secoli, ed era ancora, fino agli anni cinquanta, la normalità per quasi tutta la popolazione italiana, come i piedi scalzi e il freddo o il caldo nel corso dell’anno. L’Italia è Italia da poco quando comincia il libro, culture diverse, una lingua che non si capisce da qui a li, coltivazioni e perfino bestiame sconosciuto da una regione all’altra. E’ una storia sull’istinto di conservazione, sulla lealtà e l’onestà, ma si chiede costantemente cosa siano, e a chi siano dovute, e perché, lealtà ed onestà.
Sto scrivendo queste righe il 12 novembre 2011. Il libro parla anche del voto con cui Mussolini è stato destituito il 24 luglio 1943. Cito due brani: “Non c’era più niente da fare e tutti i gerarchi volevano provare a trovare una soluzione che salvasse capra e cavoli: lui si faceva da parte, subentravano loro con il re, trattavano la resa, la pace, e ricominciava tutto come prima, con sempre loro al comando.” Dopo il voto “alcuni dei congiurati erano tranquilli e soddisfatti “Domani ci pensa a tutto il re, e noi siamo di nuovo a cavallo”” ed anche la popolazione, quando Badoglio nei giorni seguenti dichiara, contro le aspettative popolari, che “la guerra continua a fianco dell’alleato germanico”, ci crede, “c’era il re, dietro”; Il popolo, come i gerarchi, rimette ad un’autorità più alta l’onere delle decisioni, e aspetta che qualcuno risolva tutto. E a me queste frasi sui gerarchi, mi pare di averle lette ieri sera e questa mattina sui giornali, sostituendo Napolitano per il re, ministri per gerarchi e Monti per Badoglio. Eppure, per quanto Pennacchi non risparmi i confronti con la politica recente, queste frasi le ha scritte sicuramente più di un anno fa. Questo mi da’ da pensare, e mi da’ da pensare cose che non voglio pensare, come chi è uscito da una guerra civile non ci vuole più pensare, perché si vergogna non tanto di quello che ha fatto, ma di tutto quello che avrebbe potuto fare e non ha fatto.

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