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COSE DELL'ALTRO MONDO

Di: Marcello Berlich | 05/10/2011
Preannunciato da una terribile tempesta, evocato da un industrialotto veneto che dagli schermi di una tv privata inveisce contro gli extracomunicatari, una mattina improvvisamente accade ciò che molti, nonostante le dichiarazioni buoniste di facciata si augurano e a dispetto della 'faccia cattiva' temono: l'improvvisa e inspiegabile sparizione di centinaia di migliaia di immigrati dal territorio italiano.
Le fabbriche si bloccano e le carceri si svuotano, gli ospedali soffrono per mancanza di personale e migliaia di famiglie sono messe in ginocchio dall'assenza di colf e badanti; chiudono le parrocchie per mancanza di preti immigrati, si bloccano i campionati di calcio per scarsità dei giocatori extracomunitari.
In questo scenario seguiamo le vicende di tre personaggi: l'industrialotto di cui sopra, con la fabbrica chiusa e l'improvviso venir meno dell'unico vero legame della affettivo della sua vita, quello di una prostituta nera; una giovane maestra, divisa tra la la paura di essere stata abbandonata dal suo amore immigrato, avendo in grembo il frutto di quella relazione, e la necessità di rassicurare i suoi piccoli alunni rispetto ai destini dei compagni di classe spariti nel nulla; un commissario di polizia, ex amante della suddetta maestrina, che si trova repentinamente a doversi prendere cura della madre malata, mentre vede aprirsi un barlume di speranza nella riapertura di quel legame amoroso, dopo la sparizione del suo 'rivale'... fino a un finale 'catartico' dove addirittura si fa ricorso ad antichi riti ancestrali per propiziare il ritorno degli immigrati misteriosamente scomparsi...
Nel presentare questo film all'ultima Mostra di Venezia, il regista Francesco Patierno ha affermato di voler prendere spunto dall'evento 'fantastico' della scomparsa degli immigrati, per ragionare non sulle conseguenze socio-economico-culturali, ma su quelle puramente 'sentimentali-affettive' che un tale evento sortirebbe sugli italiani.
Un ragionamento questo, spiace osservarlo, che pare quasi una dichiarazione di resa, non solo del regista, ma dell'intero cinema italiano: incapace di ragionamenti 'alti', di analisi, 'di sistema', ma sempre incline a ripiegarsi su se stesso, finendo inevitabilmente per guardare (per carità, in questo caso in modo assolutamente dignitoso e per niente vojeuristico) dal 'buco della serratura'.
Il film infatti lascia presto in disparte le conseguenze 'sociali' di quell'evento, per andare a infilarsi nel solito, consunto, trito e ritrito, 'vissuto quotidiano' coi soliti, consunti, triti e ritriti, toni da commedia agrodolce.
Tutto questo il film, ed è la sua pecca maggiore, lo fa affidandosi a personaggi assolutamente stereotipati: l'industrialotto che in tv sbraita di 'mandarli a casa loro', ma che poi si rivela capace di provare affetto solo per un'immigrata (guarda caso, prostituta e guarda caso di colore... e qui senza voler accusare il film di stereotipi razziali, lo si potrebbe quanto meno tacciare di 'scarsa inventiva'). La 'maestrina' che, terrorizzata dall'essere rimasta sola e incinta non esita cinque minuti a buttarsi tra le braccia del suo precedente amore (in questo almeno si dà al personaggio modo di riflettere su tale situazione); l'amante abbandonato che, vedendosi spalancare un portone non ci pensa due volte a infilarcisi (e non ci viene manco risparmiata la solita battuta sui 'paragoni sulla lunghezza' degli 'attributi' suo e del 'rivale')), e che nel frattempo ricostruisce il rapporto con la madre precedentemente abbandonata alle cure della badante di turno.
In questo panorama, almeno gli attori risultano decenti: non tanto il Mastandrea - poliziotto (l'attore romano sfoggia il solito e limitatissimo campionario di gesti ed espressioni, limitandosi sempre a 'recitare' lo stesso personaggio); quanto l'Abatantuono industrialotto, spassoso nei suoi accenti, imitazione riuscita di certi volgarissimi personaggi 'padani' e Valentina Lodovini, nel ruolo della maestra, che però alla fine sembra arrendersi alla limiti insiti del suo personaggio come è stato concepito dalla sceneggiatura. Un mezzo pasticcio, dunque? Beh, quelle due risate e un pizzico di riflessione alla fine il film li strappa, ma alzandocisi dalla poltrona resta la fastidiosissima impressione che con più coraggio (e più mezzi a disposizione), lo spunto di partenza avrebbe potuto portare a un ben più ampio affresco 'nazionale' sulle conseguenze di quell'accadimento, a vedere ad esempio come l'Italia sarebbe potuta definitivamente sprofondare o, per converso, rialzarsi... invece l'idea, (non troppo originale, ma comunque alla sua prima realizzazione cinematografica) finisce per incanalarsi presto nei consumati binari di quel cinema italiano che già parecchi anni fa qualcuno definì 'due camere e cucina', lasciando la pesante sensazione di un'occasione clamorosamente persa.

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