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ESTATE DA INFARTO (una storia vera)

Di: il Bisbigliatore | 29/08/2011
Finalmente un pò di relax, osservando il mare in silenzio, seduti all'ombra sotto il pergolato del bar…

Partenza alle 07:22 (Mary in ritardo, al solito), arrivati a Sperlonga poco dopo le 09:00.
Parcheggiamo sul bordo della strada, di fronte al punto in cui, mediante un impegnativo e ripidissimo sentiero accidentato, si scende alla spiaggia, una magnifica piccola baia a sud di Sperlonga, in corrispondenza del lido Roccia dei Falchi, dominato dall'omonimo, prepotente costone roccioso che gli regala il nome. Il gestore del lido ci avverte di non lasciare la macchina in quel modo: "le multe fioccheranno certamente", dice. "Hanno saltato gli ultimi due giorni, oggi passeranno di sicuro" gli farà eco più tardi l'autista della navetta che fa la spola con il parcheggio.
Il parcheggio è a più di mezzo chilometro di distanza, poco prima di una galleria adiacente al Museo Archeologico in corrispondenza con un autovelox; costa 5 euro e c'è un pulmino che funge, appunto, da navetta facendo costantemente la spola col suddetto lido. Scendiamo a prendere posto, ci sistemiamo sui lettini, poi affronto l'arrampicata e vado a spostare la macchina.
Dopo l'autovelox, sullo stesso lato della strada c'è uno spiazzo sterrato, semivuoto, incustodito e gratuito. Faccio il furbo, parcheggio lì e risparmio i 5 euro, dopodichè torno indietro a piedi, passando rischiosamente sotto la galleria sulla pericolosissima via Flacca, scendendo sulla spiaggia subito dopo la fine del tunnel, percorrendo il tratto più lungo del tragitto direttamente sulla sabbia. Ritornato ai lettini chiedo per scrupolo al bagnino se quell'area sterrata nella quale ho lasciato la macchina è liberamente utilizzabile per il parcheggio: "No, è del museo Archeologico, serve per la sosta dei pulmann turistici. Sono 35 euro di multa, se non la portano addirittura via".
Avverto Mary e, accompagnato dal suo disappunto ("Questo sei tu!"), riparto per la lunga passeggiata.
Superato all'incirca metà del tragitto sulla spiaggia, dopo aver schivato venditori ambulanti di roba gonfiabile, maschi vigorosi e femmine prorompenti intenti all'esibizione racchettonistica dei loro corpi tatuati, saltellando qua e là per evitare di distruggere castelli di sabbia e calpestare bambini e relativi genitori, mi accorgo di non avere più il portachiave penzolante dalla tasca destra dei bermuda; la chiave della macchina. "Ho perso la chiave della macchina sulla spiaggia, cazzo!" penso in preda al terrore, mentre il cuore cessa di battere per un istante interminabile. "Se non la ritrovo è finita" continuo a pensare cercando di respingere una crisi di panico.
Ripercorro il bagnasciuga a ritroso, col cuore in gola che, adesso, picchia furibondo come una rullata di Billy Cobham ai tempi gloriosi della MAHAVISNHU ORCHESTRA. "Questo sei tu!", mi aveva apostrofato Mary quando le avevo detto che dovevo tornare indietro a spostare la macchina. "Adesso mi ammazza", ho pensato mentre mi avvicinavo ai nostri lettini senza che dell’agognata chiave si rivelasse traccia alcuna.
Poco prima di arrivare vedo un pò di trambusto, una signora che corre agitata, gente in preda a nevrotica animazione. "Dev'essere successo qualcosa", penso, poi vedo un gruppo di persone nei pressi di un uomo a terra, sdraiato sul fianco sinistro, con un grosso polipo adagiato sul bagnasciuga poco dietro di lui. La gente si fa intorno, qualcuno è chinato sul tizio che ha la faccia blu scuro e sputa schiuma, liquido giallo e sangue. Quel polipo ciccione ha venduto cara la pelle.
Rifletto sul mio dramma (la chiave perduta), certamente ridimensionato al confronto di questo. Ma è pur sempre un dramma.
Arrivo ai lettini e Mary non c'è; mi giro ed è chinata sul tizio morente. Meno male, penso con cinico egoismo. La vedo alzarsi ed andare verso la postazione del bagnino. Non la disturbo, è un medico rianimatore ed è impegnata a salvare una vita.
Io, però, devo pensare a salvare la mia. Rovisto nervosamente nella borsa sperando di veder apparire magicamente la chiave nella tasca dei pantaloncini, ma non mi illudo neanche per un istante, so bene che è fantascienza.
Riparto alla ricerca, scavalco nuovamente il tizio che è sempre blu e continua a sputare schiuma e a lamentarsi. Roba grave, penso e procedo per qualche metro sul bagnasciuga, poi nell'acqua, guardando a destra e a sinistra, uscendo a chiedere ad ogni postazione di assistente bagnante che incontro se qualcuno gli ha portato la chiave di una YARIS.
Quello dello stabilimento più grande (il terzo che interpello) mi dice di chiedere al bar; lì trovo una ragazza che non ne sa niente ma, sia pure con evidente scetticismo, accetta di fare l'annuncio col microfono. Ringrazio e riparto ormai in preda ad un attacco di pura nevrosi: una chiave perduta sulla sabbia di un’affollata spiaggia in pieno agosto; speranza e angoscia si contendono il predominio sulla mia mente.
Improvvisamente sento la voce di qualcuno rivolgersi a me; l'ultimo bagnino cui mi sono rivolto mi insegue sventolando qualcosa con la mano: "Eccola, l'ha trovata quel signore.". Un interminabile sospiro di sollievo scioglie l'angoscia liberandomi il cuore dalla sua morsa: "Mi hai salvato, grazie!" dico al bagnino. "Devi ringraziare quel signore.", mi fa lui "Ciao!".
Adesso respiro. Riprendo il cammino sperando che, nel frattempo, non abbiano fatto la multa.
Risalgo la scalinata, ripercorro la galleria incrociando un’intera famiglia che affronta allegramente la pericolosa passeggiata. Fuori dal tunnel vedo una camicia bianca davanti all’autovelox: “PorcaVacca, un vigile”. Nuove palpitazioni. Percorro l’ultimo tratto correndo, attraverso la strada senza troppa prudenza, il vigile sta controllando (ricaricando?) la macchina infernale, mi dice che non ha ancora fatto multe. Ancora un sospiro di sollievo.
Porto la macchina nel parcheggio custodito, accettano gli spiccioli che riesco a racimolare nelle tasche (4 euro e 70 centesimi invece dei 5 previsti), salto sulla navetta e torno alla Roccia dei Falchi.
Trovo Mary al bar, forse ancora un po’ provata, che si rilassa e si disseta circondata dal titolare, dalla sua famiglia e da un paio di avventori. “Non sai cosa è successo, Stè!?” mi fa lei con la sua aria melodrammatica da donna fatale. “Lo so, ho visto.” Rispondo sollevato “Anch’io avrei qualcosa da raccontare.”.
Mary ha salvato la vita di un uomo (insufficienza ventricolare sinistra con conseguente edema polmonare, diranno poi dall’ospedale), io ho ritrovato l’ago nel pagliaio.

Saranno state le 11:00; finalmente potevamo cominciare a goderci il mare cristallino in questo torrido sabato di metà agosto…

IL BISBIGLIATORE

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