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L’UOMO SULLA LUNA

Di: il Bisbigliatore | 20/07/2011
Uno dei ricordi tra i più vaghi e struggenti della mia infanzia riguarda una navicella spaziale color argento simile al ragnesco LEM con cui Armstrong e Aldrin sbarcarono sulla Luna esattamente quarantadue anni fa; aveva uno sportello che, aprendosi come un ponte levatoio, rivelava la presenza di un astronauta pronto a sbarcare sulla “Luna” dei miei giochi. Erano tempi in cui la plastica non aveva ancora soppiantato del tutto la latta come materia prima nella costruzione dei balocchi e in cui le strade erano popolate da moltitudini di ragazzini intenti a giocare a qualunque cosa fosse possibile concepire usando come materia prima la fantasia. I grandi eventi influenzavano per anni l’immaginario collettivo e, chiedendo ad un bambino cosa gli sarebbe piaciuto fare da grande, capitava spesso di sentirsi rispondere: “l’astronauta”.

Quando, parecchio tempo dopo, vidi CAPRICORN ONE, fui colpito dal vago sospetto che quello che veniva raccontato nel film (una finta missione su Marte) avrebbe potuto riferirsi anche all’entusiasmante epopea delle missioni lunari. Fu uno shock. Ancora qualche anno e dai microfoni di una libera e famigerata radio romana sentii parlare di una rivista di controcultura underground chiamata M.I.R. (Men In Red, parafrasando la definizione di Men In Black) sul cui numero 1 si raccontava della pubblicazione, finalmente anche in Italia, di un libro che sosteneva l’ipotesi del bluff delle varie missioni Apollo, evidenziando le molte anomalie nelle immagini e nei testi che le documentavano. Fu inevitabile lasciarsi conquistare dall’idea della beffa da 30 miliardi di dollari. Fotografie rivelatrici, filmati poco chiari, interviste bizzarre, documenti inquietanti, morti sospette venivano analizzati nei dettagli per avallare l’ipotesi della “messa in scena”, suggerendo che le uniche prove a difesa della verità su quell’avventura spaziale erano documentazioni audiovisive tutt’altro che inoppugnabili, facilmente riproducibili con sicura efficacia in un teatro di posa. Conosco molto bene il dorato mondo dello spettacolo cine-televisivo e sono abituato a veder trasformare, per mezzo di suoni e immagini, qualsiasi cosa in qualunque altra in cui si voglia che il pubblico creda: “Non può non essere vero, l’ha detto la televisione”. Era sicuramente il sistema migliore, quarant’anni fa, per garantire il sicuro successo di operazioni estremamente complicate nelle quali, tuttavia, era assolutamente proibito fallire a causa dell’importanza della posta in gioco. Ormai è possibile leggere di tutto sull’argomento, a favore o contro l’onestà delle missioni che videro l’uomo poggiare i piedi sul nostro satellite.
Eppure il dubbio rimane. Non tanto per le molte fotografie piene di incongruenze che, a quanto pare, la stessa NASA ha ammesso di aver realizzato in studio (l’unico modo per produrre con certezza prove e materiale promozionale necessario a sostenere il programma), o per la strana emarginazione nella quale sembrano confinati gli astronauti che parteciparono a quelle vicende, i soli dodici fortunatissimi individui nella storia dell’intera umanità ad aver goduto del privilegio di raggiungere un corpo celeste diverso dalla Terra (ai quali, se potessi, chiederei fino allo sfinimento di raccontare l’emozione che si prova a passeggiare su un altro pianeta). Il dubbio rimane principalmente perché l’unica cosa indiscutibile nella realizzazione di quella meravigliosa impresa è che l’obiettivo primario era quello di vincere una gara. Contava soprattutto il risultato, contava soltanto arrivare primi. In qualunque modo. Forse ci sono davvero le impronte di quei dodici uomini sulla Luna ma sembrano passati secoli e sembra non interessare più a nessuno, ormai. A differenza di quanto disse Armstrong in quel fatidico momento, vero o falso che sia stato, al suo piccolo passo non è corrisposto nessun grande balzo per l’umanità. Per l’ennesima volta nella storia della nostra razza, quel passo serviva soprattutto a sconfiggere un avversario.

Oggi la mia navicella spaziale color argento ed il suo passeggero chiuso all’interno sono solo un vago e struggente ricordo e se chiedete ai bambini cosa vogliono fare da grandi, probabilmente nessuno risponderà più “l’astronauta”.

Il Bisbigliatore


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