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LA GUERRA PRIVATA DELL'ITALIA. di Alessio Cozzolino

Di: Gianluca Cicinelli | 04/04/2011
In Italia il business delle armi è l'unico settore produttivo che non ha conosciuto crisi o flessioni, anzi, ha migliorato esponenzialmente il proprio fatturato nell'arco di breve tempo, posizionando l'industria bellica nostrana tra le prime 5 al mondo. Produciamo di tutto, un'arma per qualsiasi situazione e tipologia di mercato: cannoni, missili, carri armati, fucili, pistole, caccia e bombardieri. Dalle armi convenzionali agli strumenti di tortura per detenuti e migranti. A rivelarlo una ricerca accuratissima di Antonio Mazzeo su Agoravox.
Tra il 2008 e il 2009, infatti, quando tutti i settori produttivi del made in Italy registravano tassi di crescita negativi, l’export di armamenti è cresciuto del 74%. Ciò – seguendo il ragionamento di Mazzeo - ha contribuito a dare ancor di più una connotazione negativa e criminale a questo tipo di mercato. Primo perché genera morti in ogni angolo del mondo, e quasi sempre sono vittime civili ed innocenti; secondo perché spreca enormi risorse economiche-finanziarie e naturali, che potrebbero essere dirottate nella lotta alla fame e al sottosviluppo. Infine perché gli utili generati si dividono tra una ristretta cerchia di figuri (attori, manager, industriali, generali, politici, trafficanti) e l’immancabile corte di faccendieri collusi con la mafia.
Quello che agevola i mercanti di armi italiani, infatti, è l'agire indisturbati in deroga alla legge 185 del 1990, che disciplina il mercato delle armi e che vieta in particolare, le vendite ai paesi belligeranti, a quelli sottoposti ad embargo Onu e dell’Unione Europea e a quelli i cui governi sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Il divieto viene sostanzialmente aggirato, grazie anche all'indifferenza dei parlamentari e politici italiani che non perdono certo il sonno a pensare che le 4 maggiori commesse belliche provengono da stati dediti alla lapidazione, alla violazione dei diritti umani, alle discriminazioni di genere e minoranze nazionali (Arabia Saudita, Qatar, India, gli Emirati Arabi Uniti, il Marocco, la Libia, la Nigeria, la Colombia, l’Oman).
Tutti affari ultramilionari a cui è difficile dire no. «In particolare - cita Mazzeo - dopo il voto unanime del Parlamento italiano (il 28 ottobre 2009) che ha ratificato l’accordo di “cooperazione nel settore della sicurezza” firmato sei anni prima dall’allora ministro della difesa Martino e dal principe ereditario di Dubai e ministro della difesa degli EAU, sceicco Mohamed Bin Rashid Al Maktoum, sono state esemplificate le procedure di trasferimento di armamenti, munizionamenti, mine, propellenti, satelliti, sistemi tecnologici di comunicazione e per la guerra elettronica». Scambi che potranno avvenire appunto in deroga alla legge 185 e che consentiranno la triangolazione di armi «a Paesi terzi senza il preventivo benestare del Paese cedente», spiega il giornalista.
Gli accordi di cooperazione riguardano direttamente anche il nostro Governo. Con un accordo sottoscritto da Silvio Berlusconi e dal colonnello Gheddafi, Italia e Libia hanno chiuso la lunga contesa post-coloniale. In nome della comune lotta all’immigrazione “irregolare”, si è dato il via ai pattugliamenti navali congiunti e alla realizzazione in pieno deserto di carceri-lager per richiedenti asilo in fuga dagli inferni del Corno d’Africa, Iraq e Afghanistan. Ma questo è solo il “pretesto diplomatico” per fare affari e ricevere commesse di armi. L’AgustaWestland, infatti, ha trasferito alle forze armate locali 10 elicotteri A109 Power, valore 80 milioni di euro, che saranno utilizzati per il «controllo delle frontiere». La stessa società italiana ha pure sottoscritto un accordo con la Libyan Company for Aviation Industry per costituire una joint venture per lo sviluppo di attività nel settore aeronautico e dei sistemi di sicurezza. Finmeccanica ha invece firmato un accordo con Tripoli per la creazione di una joint venture nel campo dell’elettronica e dei sistemi militari di telecomunicazione. Nel gennaio 2008, è stata la volta di Alenia Aeronautica a siglare con il ministero dell’Interno libico un contratto del valore di oltre 31 milioni di euro per la fornitura del velivolo da pattugliamento marittimo ATR-42MP “Surveyor”. Sempre nel campo della sicurezza interna, Selex Sistemi Integrati realizzerà un grande sistema di protezione e sicurezza dei confini della Libia e fornirà direttamente sul campo l’addestramento degli operatori e dei manutentori.
Ma la Libia non è un caso isolato. Anche il Marocco, notoriamente un paese “poco attento” ai diritti umani, a fine 2008 ha siglato con Alenia Aeronautica un contratto del valore di circa 130 milioni di euro per la fornitura di quattro velivoli C-27J, lo stesso aereo da trasporto e per il lancio di paracadutisti girato all’Afghanistan via Washington. In joint venture con Eads, Alenia Aeronautica consegnerà pure due Atr 42-600 e quattro Atr 72-600 alla compagnia di bandiera Royal Air Maroc. Apparecchiature integrate per comunicazioni e controllo terrestri prodotte da Selex Communications finiranno al FAR du Maroc, le forze armate marocchine che non mancheranno di utilizzarle in funzione anti-Polisario e anti-migranti. La marina militare marocchina si doterà invece delle nuove fregate multimissione FREMM co-prodotte da Francia (Thales e DCNS) e Italia (Fincantieri e Finmeccanica), e armate con siluri MU90, missili Exocet MM40 e Aster 15 ed i cannoni 76/62 SR stealth della OTO Melara, altra società Finmeccanica.
Prove snocciolate da Mazzeo con estrema precisione e lucidità. Ma ciò che inquieta di più è l'influenza, svelata dal giornalista nel suo articolo, dei faccendieri di armi su parlamentari, ministri e industriali nostrani, nonché i loro legami con la criminalità organizzata, in grado di mediare nei commerci con il Marocco. Secondo Mazzeo non c’è stata inchiesta giudiziaria negli ultimi decenni che non abbia individuato transazioni più che sospette sulla rotta Roma-Rabat.

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