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ITALIA 150

Di: Marcello Berlich | 17/03/2011
Marcello:
L'altro ieri ho messo alla finestra il tricolore... caso strano, dalla notte è poi cominciato a piovere, e il risultato è che la bandiera si è poi afflosciata lì, zuppa. A ben vedere sembra molto simbolico...
Festeggiamo il 150esimo dell'Unità d'Italia. Sarebbe bello fosse una giornata priva di polemiche e divisioni, ma non credo sarà così, suppongo la Lega ne farà qualcuna delle sue, pur di s***dare la ricorrenza, facendosi un pò di propaganda presso il suo elettorato. Festeggiare, come? Mettendo il tricolore alle finestre, certo, ma probabilmente il modo migliore sarebbe quello di pensare ai motivi, vari, che ci consentono di poter sentirci fieri di essere italiani.
Ho sempre creduto poco alla retorica sinistroide che tende spesso e volentieri a parlare male degli italiani; men che meno mi riconosco nella schiatta degli pseudointellettuali che, magari dall'estero, e dalla Francia in particolare, amano parlar male degli italiani, trovando appoggio incondizionato dai cugini d'oltralpe, sempre pronti a sparare a zero su di noi e a porre su piedistalli quegli italiani che scelgono di varcare i confini per poi parlare male un giorno si e l'altro pure dei loro connazionali. Il popolo italiano, gli italiani, l'Italia, non sono certo privi di difetti, li conosciamo tutti, ma nemmeno esenti da pregi, come qualunque altro popolo.
La questione diventa allora perchè per tanti, troppi italiani sia così facile parlare male dei propri connazionali (compatrioti), piuttosto che parlarne bene. Gaber cantava: "Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono": potremo forse non 'sentirci italiani' , e usare questa come scusa per parlare male della nostra Nazione e di chi la abita, ma resta il fatto che 'italiani' lo siamo, soprattutto quando siamo guardati 'dal di fuori', da chi certo non distingue tra chi è nato a Milano, Roma o Palermo ed è pronto a 'bollarci' coi soliti luoghi comuni... ai quali puntualmente rispondiamo 'sbattendogli in faccia il Rinascimento'.
C'è un detto (americano, o forse inglese) che dice: 'buono o cattivo, è il mio Paese': perché in Italia non riusciamo ad applicare lo stesso concetto? Perché non riusciamo a separare un popolo da una classe dirigente che certo ne è almeno in parte l'espressione, ma che non lo ricalca del tutto, proprio a causa dei criteri con cui quella classe dirigente è selezionata? Perché è così difficile sentirsi fieri di essere italiani, e affermarlo? Forse perché, per effetto dei vent'anni di dittatura e di ciò che ne è conseguito, ancora oggi si teme di passare per fascisti se si espone la bandiera in occasioni non prettamente sportive?
Come se poi tra l'altro, lo sport non fosse motivo di vanto, al giorno d'oggi: ma insomma, vi pare poco che con strutture ormai da terzo mondo, e una completa mancanza di una strategia complessiva di avvio all'attività sportiva delle giovani generazioni, lasciando tutto sulle spalle delle famiglie, l'Italia resista tutto sommato bene, nel consesso sportivo internazionale? Se stando così male, otteniamo certi risultati, figuriamoci se adottassimo la politica sportiva dell'Australia...
Ecco, io credo che a farci sentire fieri dell'essere italiani sia questo: il 'nonostante tutto'.
Nonostante tutto otteniamo successi sportivi, nonostante tutto qualche film degno di nota a livello internazionale continuiamo a sfornarlo, nonostante tutto i nostri ricercatori e scienziati sono apprezzati anche all'estero, nonostante tutto gli italiani riescono a resistere pure in questi tempi duri... Nonostante tutto.
Essere fieri di questo, ma guardarne anche l'aspetto negativo: continuiamo a essere il Paese che tira fuori gli attributi solo quando si trova nell'emergenza e all'ultima spiaggia.
Abbiamo un'abitudine al disordine e allo scontro che avrebbero annichilito chiunque altro, non noi: qualcuno scrisse che l'Italia in secoli di guerra aveva prodotto Leonardo e soci, la pacifica Svizzera solo orologi. Qualcuno dirà che Leonardo e soci non erano 'italiani' in senso stretto, eppure questo è un altro carattere tipico italiano, come ha detto Benigni: siamo l'unico Paese in cui la cultura si è formata secoli prima dello Stato, e forse, aggiungo io, gli sopravviverà... e vi pare poco? Certo, la nostra è un'Unità poco sentita, forse: siamo uno dei pochi Paesi che non ha un 'giorno dell'Indipendenza': festeggiamo la Liberazione e la Repubblica, ma queste sono altre questioni. Sarebbe bello avere il 20 settembre, giorno della 'Breccia di Porta Pia', come festa dell'Unità nazionale, ma il Vaticano non lo permetterà mai; sarebbe allora bello festeggiare il 17 marzo non ogni 50 anni, ma ogni anno... e anche questo sarà molto difficile. La mancanza di una data simbolica da festeggiare ogni anno è indubbiamente un serio 'vulnus', un simbolo, questo si, della nostra poca coesione... ma in fondo... siamo 'uniti' da solo 150 anni, che per uno Stato sono ben pochi: siamo 'giovani' e abbiamo tutto il tempo di migliorare, e col minimo di consolazione che deriva da questo, direi che oggi (almeno oggi)abbiamo tutto il diritto di sentirci fieri di essere italiani.
Franz:
Ieri ero a Milano. Nell’attesa del treno che mi riportasse a casa, ho fatto una passeggiata verso il Duomo. Pioveva e la galleria era piena di gente. Al centro della bella costruzione ottocentesca c’era un’installazione per ricordare i 150 anni dall’Unità d’Italia. Alle sei una banda ha suonato anche l’Inno Nazionale, la gente applaudiva e fotografava. I negozi lì intorno come minimo avevano le bandiere, qualcuno più fantasioso in vetrina aveva messo tre vestiti con i colori della bandiera.
Ad un angolo c’erano due pannelli con la riproduzione di due prime pagine del “Corriere della Sera”. In verità erano due edizioni del 1948, di quando insomma è nata la Repubblica. Un uomo ed una donna di una certa età, con uno spiccato accento meneghino, parlavano; guardavano le due prime pagine e discutevano sulle persone che questa repubblica hanno fatto dopo un ventennio di sfascio ed una guerra rovinosa. Si compiacevano davanti alla pagina nella quale il titolo era su Milano che insorgeva contro il nazifascismo, si lamentavano del fatto che i giovani manifestano indifferenza incosciente, ne erano feriti. Dentro di me pensavo al rammarico che mi porto dietro, sul fatto che i miei genitori mi abbiano raccontato poco o nulla della “loro” guerra. Mi viene da pensare che solo con la memoria, con il tramandare la storia di bocca in bocca questa festa assume un significato per le giovani generazioni, c’è troppa mistificazione, malgrado, devo riconoscerlo, la tv e i giornali siano riusciti a far entrare la festa nel cuore di molti Italiani. Insomma l’impressione che ho ricavato dalla mia oretta scarsa in centro a Milano è che la gente non manifesti quella indifferenza o addirittura quel disprezzo che ha esibito l’avvocato Brigandì, componente del Consiglio Superiore della Magistratura che, durante la commemorazione che il vice presidente Vietti ha tenuto nel corso della seduta plenaria di ieri, si è alzato ed è uscito dall’aula, rispondendo ad un copione idiota da politico leghista. Quello stesso Brigandì, che con solerzia ha tentato di montare un caso contro la PM Ilda Bocassini abusando del proprio Ufficio e passando alla stampa compiacente carte di un procedimento disciplinare di venti anni fa con argomento un bacio, è puntualmente rientrato quando la seduta plenaria ha approvato l’aumento di una delle tante indennità di presenza che compongono lo stipendio per quell’Ufficio.

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