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I BEDUINI DEL DESERTO SIAMO NOI. La Libia sotto attacco

Di: Gianluca Cicinelli | 28/02/2011
Diamo per scontato che Gheddafi sia un sanguinario (non un pazzo, attenzione, altrimenti non durava 40 anni). Adesso allora possiamo procedere. Il regime di Tripoli si avvia alla fine ma come spesso accade questo non significherà per i libici una maggior democrazia. I libici stanno per essere investiti da un'ondata di fuoco "amico" dal cielo, come accadde per gli iracheni, come accadde per i serbi, come accade ogni volta che per liberare un popolo dal suo tiranno l'occidente sceglie la strada di aprire il fuoco sui civili oppressi da quei regimi dittatoriali.
Cerchiamo di capire meglio cosa è la Libia. Persa gran parte della Cirenaica (Libia orientale), ricca di petrolio e di gas, dove vivono le tribù Warfallah e al-Zuwayya, secondo il sito internet di opposizione www.libyafeb.com anche diverse città nell’Ovest del paese come Zwara sono ormai in mano agli insorti. La tribù Warfallah è la più importante del paese, sia per grandezza numerica che per disposizione geografica. Conta infatti intorno al milione di persone, circa un sesto degli abitanti della Libia, e vive nelle aree più ricche di gas e petrolio. Nella stessa regione è radicata la tariqa (confraternita dell’islam sufita) dei Senussi, cui apparteneva Omar el-Mokhtar, di cui Gheddafi portava un’immagine sul petto durante la sua visita in Italia del 2009, ma cui ora inneggiano gli insorti. Nella regione sud-orientale della Libia un’altra importante e numerosa tribù si è unita ai manifestanti. Si tratta di al-Zuwayya, il cui capo Sheikh Faraj al-Zuway, ha minacciato di bloccare le esportazioni di petrolio se le autorità non fermeranno la repressione. La potenza di questa tribù risiede, più che nella forza numerica, nel fatto che essa controlla un’area strategica del deserto libico. La seconda tribù è quella cui appartiene lo stesso colonnello, i Gheddafa, che conta poco più di 126mila individui ma occupa posti di rilievo nel potere politico e nell’aviazione militare (l’esercito di terra è controllato da diverse famiglie, molte appartenenti ai Warfallah). È la tribù più armata, su cui ora conta Gheddafi per restare al potere. La terza tribù per influenza e dimensioni è quella dei Megarha, cui appartiene il comandante Abdelslam Jelloud. Tribù della regione occidentale del Fezzan, ha una forte tradizione guerriera, al punto che tra i suoi membri veniva reclutata la polizia locale. Storicamente rivale ai Gheddafa e vicina ai Warfallah, ha contribuito in maniera decisiva al colpo di stato del colonnello del 1969. Il Sud infine è controllato dalle tribù Tuareg (circa 500mila persone), i nomadi del deserto, i cui sultani nel 2007 avevano proclamato Gheddafi “grande Amghar”, grande guida, annunciandogli la loro sottomissione alla sua autorità, una decisione senza precedenti nella loro storia. Tuttavia anche loro hanno voltato le spalle al colonnello accogliendo l’appello alla rivolta dei Warfallah.
Le compagnie petrolifere non hanno esitato un momento ad aumentare il prezzo del carburante in Italia in seguito alla sommossa in Libia, nonostante nel breve e nel medio periodo non dovrebbero esserci problemi di approvvigionamento perchè per quanto riguarda il petrolio, l'Opec ha dichiarato di avere una capacità produttiva in eccesso pari a 5 milioni di barili al giorno, contro gli 1,6 milioni prodotti dalla Libia. Per la Libia l'esportazione delle risorse naturali è la fonte di sostentamento quasi esclusiva», ma è l'Eni ad essere dal 1959 il primo produttore internazionale presente nella regione. In Libia la produzione, in condizioni normali, è di circa 280mila barili, molti dei quali sono gas, mentre in questo momento se ne stanno producendo circa 120mila.
Gli esperti sono però concordi nell'individuare l’Italia come il paese nella situazione più critica nei confronti degli approvvigionamenti energetici dalla Libia. Non solo perchè il saldo rapporto tra Berlusconi e Gheddafi rischia in caso di vittoria degli insorti di provocare una ritorsione verso l'Italia ma per gli interessi economici che intercorrono tra Libia e Italia. La Libia è il primo azionista di Unicredit con il 7,50 per cento del capitale, possiede l’1% di Eni e il 2% di Finmeccanica. Attive in Libia sono alcune nostre grandi imprese, come Eni, Anas, Impregilo, Finmeccanica, Iveco. Nel complesso, l’Italia rappresenta il primo partner commerciale della Libia. La quota italiana delle importazioni libiche si è attestata nel 2009 al 17,4 %, nel primo semestre del 2010 le nostre esportazioni verso quel paese sono cresciute del 4 %. L'interscambio tra i due paesi nel primo semestre 2010 è arrivato a circa 6,8 miliardi di euro, con un incremento del 12,53 % rispetto all’anno precedente.
Intanto migliaia di rifugiati premono sulle coste. Migliaia di richiedenti asilo sbarcherà sulle nostre coste. Invece di preparare l’accoglienza, ad accoglierli ci saranno le navi militari, in applicazione della Bossi-Fini. Si Fini del terzo polo, lo stesso della santa alleanza invocata da Bersani e non rifiutata da Vendola. Lampedusa è nel caos e ci sono solo i migranti, richiedenti asilo, tunisini. Ma è immaginabile ciò che sta succedendo sulle coste libiche, nel golfo della Sirte. Bossi dice che li smisteremo in Germania e Francia. Ma l’Europa risponde: "niente smistamenti". L’Italia ha meno rifugiati di altri paesi membri.
Personaggi di ogni epoca e di ogni ora si sono recati a riverire Gheddafi nella tenda. Il primo fu D’Alema in Libia, e ha continuato a vantare una sua personale amicizia con il colonnello, di cui a Giugno presentava un libro a Roma. Il caos della rivolta copre gli scontri degli insorti con i mercenari, compresi gli italiani ingaggiati per difendere i pozzi e le fabbriche dell'Eni. Ma tra le tante-poche immagini che ci giungono dalla Libia, sulla rete, sui social network, su Al Jazeera, non ci sono quelle dei bombardamenti sulla folla. Le notizie sui morti sono contrastanti, centinaia, migliaia, decine. I morti si vedono e vanno seppelliti, in Libia i martiri, cioè i caduti per le rivoluzioni sono portati a spalla, avvolti nel sudario. Ci sono stati molti funerali, molte cerimonie funebri, ma le migliaia di corpi vittime dei bombardamenti qualcuno dovrà averli fotografati e ripresi. Mancano le immagini di conferma.
All'assalto al cielo dei libici risponderà l'assalto dal cielo dei predatori mondiali di risorse, predatori che parlano la lingua d'oil, non quella medievale, ma la lingua contemporanea del petrolio, una lingua di guerra che non prevede volontà contrarie a quelle di coloro che con Gheddafi hanno fatto affari. Una crisi di cui forse beneficeranno i gruppi fondamentalisti organizzati, gli unici in grado di assicurare una struttura simile a uno stato in una nazione di cui solo adesso ci accorgiamo di non conoscere quasi nulla. Una crisi al buio perchè le immagini che vediamo dal circuito internazionale non dicono nulla: con cosa sono state riempite le fosse comuni di cui invece si vedono le icone passare ogni cinque minuti sugli schermi?
Gli insorti se si salveranno dai proiettili non troveranno scampo sotto le bombe che pioveranno dal cielo a stelle e strisce che il premio nobel per la pace Barak Obama si appresta ad illuminare con lampi di fosforo. Il petrolio non si tocca, altro che Saddam e Gheddafi, dei diritti umani e della democrazia non importa a chi sapeva da decenni di quale pasta fosse il regime libico e ha continuato ad armare ed addestrare il suo esercito, di chi ha continuato a tollerare che per tutti gli anni '80 e '90 venissero ammazzati come cani tutti gli oppositori politici di Gheddafi, una decina solo in Italia, al punto che oggi a differenza di quanto accaduto per le altre rivolte dell'area non esiste un solo personaggio di riferimento con il quale si possa parlare del futuro della Libia.
Un crimine è stato a lungo perpetrato dall'occidente contro il popolo libico, quello di consentire per 40 lunghissimi anni a Gheddafi di uccidere e terrorizzare il suo popolo perchè nessun antidoto politico è ancora stato inventato contro gli interessi del petrolio. Adesso l'unica cosa che possiamo fare noi cittadini dell'occidente per aiutare i cittadini libici, è di premere sui nostri governi affinchè non colpiscano militarmente la popolazione inerme. E soprattutto premere sulle organizzazioni pacifiste e di sinistra affinchè non si ripeta la dottrina della "ingeranza umanitaria", quella che per liberare il Kossovo dal regime di Milosevic ci portò a bombardare i civili di Belgrado. L'aria che tira, anche a sinistra, è questa, cerchiamo di fermare il massacro.

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