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HEREAFTER

Di: Marcello Berlich | 09/02/2011
Ero parecchio curioso di vedere cos'avrebbe combinato Clint Eastwood nel suo nuovo film, almeno da quando ho saputo che avrebbe parlato tra l'altro di 'gente che parla coi morti'... a dire il vero non sapevo che pensare, di certo ho escluso che si sarebbe trattato di horror, per quanto Eastwoood col cinema 'di genere' abbia spesso avuto a che fare (avendo trattato western e film bellici e - a quanto ho capito - avendo intenzione di dare prossimamente vita a un musical). Escludendo quindi l'horror, quando si parla di 'gente che ha a che fare coi morti', si finisce o nel thriller paranormale (a là 'Sesto senso', per intenderci), o nel polpettone 'favolistico / sentimentale' (e dubitavo che anche questo sarebbe stato il caso). Invece Eastwood sembra piuttosto utilizzare quello del 'contatto con l'aldilà' per una riflessione sui rapporti con la morte e con chi 'se n'è andato'. Tre storie, scollegate tra loro per gran parte del film (ma che già immaginiamo si incroceranno alla conclusione): un'affermata giornalista francese che, capitata nel bel mezzo del cataclisma dello tsunami nel sudest asiatico di qualche anno fa, vive un'esperienza 'pre-morte' e, volendone far partecipe il mondo, finisce per compromettere la propria carriera; un bambino londinese cresciuto in una realtà 'difficile' che perde improvvisamente il fratello gemello; un sensitivo americano cui la sua 'dote' impedisce di avere una vita normale, pressato dal fratello per trasformare questo suo 'dono' in business. Li seguiamo in alterne vicende, tutti alle prese con gli eventi che li hanno colpiti, tutti in fondo incompresi dagli altri e perciò lasciati soli con sé stessi ad affrontare i propri drammi e conflitti interiori, fino a quando abbastanza fortuitamente finiranno per incontrarsi, trovando (forse) il modo di scendere a patti, chi col proprio lutto, chi con l'esperienza che gli ha cambiato la vita, chi col fardello che è condannato a portare (trovando in due casi il modo di sostenersi a vicenda...). Eastwood mette in moto tutto questo, col suo consueto stile 'secco', concedendo poco a inutili sentimentalismi, mettendo in scena persone dotate di fragilità, ma capaci allo stesso modo di trovare una certa forza interiore, partendo dal presupposto che 'qualcosa, dopo, ci sia', e mostrando come la consapevolezza dell'esistenza di un'aldilà possa incidere sulla vita dei singoli. Certo, probabilmente questa è destinata a restare come una 'parentesi' nella filmografia del regista: lontano dalle prove di "Million dollar baby" o "Gran Torino", Eastwood sembra volersi essere preso una pausa, aver voluto proporre la sua personale riflessione sull'aldilà, senza voler proporre risposte definitive, lasciando tutto un pò in sospeso, prendendo lo spunto per poter far evolvere dei personaggi e, per una volta, proporre un finale tutto sommato felice e rasserenato... ad essere cattivi si potrebbe definirlo 'consolatorio', ma insomma, chi l'ha detto che un film per essere 'buono' deve per forza far schiattare il protagonista, o farlo ritrovare alla fine della vicenda così come l'aveva iniziata? Probabilmente se il film, che in ogni caso è validissimo, essendo prodotto dell'opera di 'uno che conosce il suo mestiere', non raggiunge vette straordinarie, è anche (de)merito degli attori: i principali (eccettuando il ragazzino che 'se la cava', ma devo ancora trovare un ragazzino che davanti alla telecamera non sappia come comportarsi) sono Matt Damon, nel ruolo del sensitivo che certo ci mette del suo, ma che non riesce a togliersi dal volto quell'espressione 'faccione da bravo ragazzo americano', non riuscendo fino in fondo a dare vita a tutta la fragilità del personaggio, e Cecilé De France (il film è girato in parti uguali in Stati Uniti, Inghilterra e Francia) della quale non si ricordano prove attoriali straordinarie, e questa non fa eccezione; trai secondari, è almeno il caso di menzionare Bryce Dallas Howard e il cameo di Derek Jacobi nel ruolo di sé stesso. Discreto il doppiaggio, più che mai intonate le musiche (che del resto ha curato lo stesso Clint). Non un capolavoro, non una delle prove più memorabili di Eastwood, ma tutto sommato un buon film.

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