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Qualunquemente

Di: Marcello Berlich | 02/02/2011
Prima considerazione: il rischio nell'andare a vedere film come questo è di alzarsi dalla poltrona con una intensa sensazione di - diciamo - rodimento, cosa che puntualmente è successa anche in questo caso; i film incentrati sulla critica politica (e sociale) possono in genere risultare eccessivamente 'pesanti'; quando tuttavia sono svolti nei toni della satira, si finisce per cadere nel difetto opposto: che a riderci troppo sopra si finisca un pò per perdere il punto. Considerazione numero 2: Non ci voleva certo Albanese, a ricordarci che viviamo in un Paese dove troppo spesso si va al Governo - locale o nazionale - in forza della propria spregiudicatezza, dove la disonestà e la mancanza di valori è sistematicamente premiata, mentre gli onesti, i capaci e le persone per bene se lo trovano puntualmente messo nel didietro, dove è diffusa una concezione della donna puramente materiale, dove il patrimonio culturale e ambientale è fin troppo spesso ignorato o volutamente vilipeso, dove il turista è visto come un pollo da spennare, e l'elenco potrebbe continuare, a cominciare dagli invalidi che vanno in bicicletta e a giocare a tennis e dalle tasse che 'sono come la droga, le paghi una volta e non ne esci più". Considerazione numero 3: i film che hanno per protagonisti personaggi creati per sketch televisivi di breve e media durata, raramente hanno la medesima riuscita: da questo difetto non è esente il film di Albanese. Alla luce di queste considerazioni, "Qualunquemente" è un film sicuramente godibile, che strappa più di una risata, sia 'di pancia', che volta all'amarezza, quando non suscitando una palese irritazione, derivante dal fatto che qui non siamo di fronte a un personaggio 'estremo' o puramente caricaturale, ma che soggetti del genere, a prescindere dalla provenienza geografica, in Italia girino sul serio, occupando anche rilevanti posti di potere. La vicenda è più o meno nota: Cetto La Qualunque torna in Italia dopo una latitanza di quattro anni, e sulla spinta dei 'notabili' del Paese viene candidato a sindaco, contro il 'paladino della legalità' De Santis. Nonostante i suoi modi, sintetizzabili nel rivolgersi alla 'pancia dell'elettorato' a suon di promesse faraoiniche gli facciano guadagnare un certo consenso, tuttavia Cetto arranca nei sondaggi: per ribaltare la situazione verrà chiamato da Milano lo spin doctor Gennaro Salerno, barese 'pentito' che pratica il Tai-Ci e parla a forza di 'laurà, laurà, laurà' (salco poi esplodere in insulti in bares stretto). Quando, sul filo di lana, nemmeno questo sembrerà bastare, La Qualunque ricorrerà a metodi più spicci, conquistando l'ambita 'poltrona' e aspirando a ben più prestigiosi 'palazzi'. Il film è tutto qui, all'insegna di una trama esile e di un svolgimento piano e privo di sussulti, sostanzialmente costruito su una serie di 'scenette' che offrono ad Albanese - La Qualunque l'occasione per esibire la versione definitiva del personaggio e del suo campionario di battute, alcune delle quali già ampiamente sentite nel corso delle apparizioni televisive. Attorno a lui, una serie di personaggi: il gruppo dei suoi supporter, che in certi momenti acquisisce una funzione di appoggio quasi da 'coro', il capo della polizia locale, unico rappresentante delle istituzioni 'sane', il povero De Santis, paradigma di un centro-sinistra che non riesce a 'bucare' il video, finendo per essere sconfitto in partenza dal suo stesso grigiore, un figlio che, cresciuto senza padre e diventatone così l'opposto, viene rapidamente 'educato alla vita' fino a diventarne un clone (dietro al quale, complice la chioma riccioluta, si lascia intravedere un altro noto 'figlio d'arte' della politica italiana). Albanese occupa ovviamente la scena, trovando però in alcuni momenti validi 'antagonisti' sia nello stesso personaggio del figlio, interpretato da Davide Giordano, che soprattutto in quello di Salerno, un Sergio Rubini che per l'ennesima volta dà via ad una efficace caratterizzazione - che alla fine, proprio nel suo cinismo finisce per rivelare una sua umanità nel prendere l'unica strada che oggi in Italia (per chi può) appare percorribile: andarsene altrove. Da ricordare anche Salvatore Cantalupo (il 'sarto' di Gomorra), nel ruolo di De Santis, affidato più alla mimica che non alle parole. Alla fine il film certo funziona, in gran parte grazie al personaggio e alla sua totale - e realistica - mancanza di etica e morale; tuttavia, sotto il profilo puramente cinematografico funziona molto meno, non scampando al suo ridursi ad una serie di gag, peraltro ben congeniate e discretamente valorizzate da comprimari all'altezza.

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