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ALAN MOORE: LA LUCE DEL TUO VOLTO

Di: Marcello Berlich | 12/01/2011
Non deve essere per nulla facile, il compito di Marco Frinelli, traduttore italiano de "La luce del tuo volto", tra le opere più recenti di Alan Moore, uscita negli USA per la Avatar, etichetta che è diventata la 'casa' di alcuni trai maggiori autori del fumetto supereroistico / sci - fi (tra gli altri, oltre allo stesso Moore, pubblicano per Avatar Garth Ennis e Warren Ellis). Tradurre un'opera di Alan Moore (breve riepilogo per i non addetti: l'autore di opere fondamentali del fumetto supereroistico e non, come Watchmen, V For Vendetta, From Hell e Swamp Thing) è già di per se un compito ingrato, vista la molteplicità di 'senso' che l'autore inglese dà alle sue parole, arrivando a creare termini composti o inventandone di sana pianta; figuriamoci poi quando il testo in questione è una sorta di autobiografia, raccontata attraverso un flusso di coscienza pressochè ininterrotto in forma di poema... a aggiungiamoci pure il fatto che il protagonista di tutto questo è 'nientepopòdimenoche'... Dio... Intendiamoci, non è il Dio delle religioni monoteiste... è un Dio molto più giovane e per certi invasivo, che ci osserva, in parte compiaciuto, in parte quasi esterrefatto di come l'umanità, nella sua pochezza si sia lasciata irretire da 'lui' nel giro di pochi decenni, fino quasi ad annullare sè stessa... Il 'dio' cui Moore dà la parola è la televisione, o meglio il tubo catodico. Lo troviamo dapprima assumere le sembianze della protagonista di una soap opera e dell'attrice che la interpreta, solo per poi rivelarsi in tutta la sua essenza, e raccontarci la sua storia, e quella del '900, dal suo punto di vista: dalla sua creazione alle prime trasmissioni, dallo 'spegnimento' nel corso della II Guerra Mondiale, fino alla sua esplosione, crescita, proliferazione negli anni '50 e '60, utilizzato come strumento per stimolare la crescita dei consumi delle masse, fino all'oggi, in cui le immagini televisive hanno sostituito gran parte del pensiero umano, spegnendone progressivamente l'autocoscienza, in un mondo in cui ci si identifica più con i simulacri trasmessi dagli schermi televisivi che con i propri simili, in cui gli amici sono diventati i 'Friends' di una nota serie, e in cui la 'facile' pornografia catodica surroga la complicazione dei rapporti umani... L'autobiografia 'divina' di Moore diventa così un atto di accusa e derisione nei cofronti della società attuale, dominata dai monitor, all'insegna di una catatonia indotta dal tubo catodico che l'autore battezza 'Bairdo' (una crasi da Baird, inventore appunto del tubo catodico e Bardo, lo stato mentale post-mortem buddista). Una critica ancora più spietata allorché Moore sottolinea proprio la natura più intima del mezzo televisivo, il quale ebbe la sua diffusione di massa nel secondo dopoguerra, essenzialmente come mezzo per pubblicizzare prodotti e indurre i consumi (e da questo punto di vista non vi è dubbio che abbia assolto interamente allo scopo, e continui a svolgere in modo eccelso tale funzione). Un testo di approccio non facile: quasi ci si perde nella continua grandinata di parole che Moore utilizza per far cantare al dio catodico il proprio inno, reso certo più agevole dai disegni in stile pittorico di Felipe Massafera, col costante ricorso a tavole a piena pagina, utilizzate a commentare il testo, che immaginiamo raccontato da una voce fuori campo. Tuttavia, pur nella sua difficoltà, tipicamente 'mooriana' (all'insegna del 'se non capite', rileggete fin quando non ci arriverete) è un'opera che affascina, sia per l'idea di fondo, che per le conclusioni abbastanza agghiaccianti, cui giunge. Si potrà dire che è il 'solito' Moore, iconoclasta, che arrabbiato con l'universo mondo continua a gettare i suoi strali irridendo l'umana inettitudine; tuttavia, ben venga il 'solito' Moore, se questi sono i risultati.

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