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Che cosa è rimasto della nostra lingua?

Di: Maurizio Nagni | 27/11/2009
Ormai abbiamo visto di tutto dai nostri dipendenti, come giustamente dice Grillo: l'allora Senatore Barbato dava l'esempio già anni fa, Borghezio è sempre stato una spanna sopra a tutti, Tremonti e le sue solite figure, Brunetta che non si contiene mai, o anche Berlusconi in una delle tante scene passate alla storia.

Ma adesso è fatta: abbiamo sdoganato anche la parola STRONZO. L'ha detto il Presidente della Camera, credo non possano più esserci censure in merito. Gli ha risposto con la stessa parola anche il Ministro Calderoli, no? Matteoli anche ha giustificato le sue parole. Altro che l'innocente "imbecille" di qualche anno fa di Moretti contro Fede. Le giustificazioni sone dei classici: "La lingua cambia, le parole cambiano e allora di cosa scandalizzarsi?" oppure "bisogna capire il contesto... (Matteoli)". Ah! Ma allora è un problema di traduzione a seconda della platea? E quanto in basso bisogna arrivare per usare quel tipo di linguaggio? Ma perchè per essere un insegnante serve l'abilitazione e per fare il Ministro dell'Istruzione basta essere eletta?

Le parole che compongono una frase, un pensiero, un'idea non possono essere quantificate rigidamente ma l'informazione che portano si. In questo è il contesto che posso accettare frasi scarne, asciutte, essenziali, freddamente descrittive in un articolo scientifico, oppure al contrario, ricche, evocative, colorate, contestuali, volgari, "borgatare" come le finestre sul mondo di periferia di Pasolini.

Ogni parola possiede una potenzialità interna per cui, in ogni frase, una parola può essere sott'intesa, tolta, descritta, tradotta, contraddetta, abellita, criticata, piuttosto che essere semplicemente scritta nero su bianco; ma può anche essere sostituita per semplificare e riassumere un'idea e sebbene a volte sia legale, altre è solo una facile soluzione ad effetto.

E' quest'ultima possibilità che a me è sembrata essere la causa prima del discorso di Fini ed in genere del livello dialettico attuale che da una parte genera costantemente emergenze, allarmi, crisi, che associa prefissi come mega, ultra, super a sostantivi che andrebbero esplicati in modo ben più esaustivo piuttosto che puntare sull'effetto immediato, fatto ad uso e consumo dell'Homo Videns (secondo la definizione di Sartori).

Perchè, alla fine della fiera, una volta raschiato il fondo del barile, una volta che tutto è semplificato oltre i limiti naturali, che tutto è ridotto a meno dei minimi termini necessari per comunicare un'informazione, una volta che avremo perso il significato sottile delle parole, il senso umano del comunicare, che saremo circondati da un'informazione a misura di SMS, di giornale scandalistico, proprio allora saremo stranieri in terra straniera strangolati dal peso di una lingua che non è più la nostra.

Una lingua per la quale, nonostante tutto soffriremo, anzi già soffriamo vedendola denudata della sua ricchezza, venduta per un tozzo di pane, violentata da chiunque ne abbia la minima possibilità, per ignoranza, pigrizia, ignavia o dolo.

"La democrazia vive se c'è un buon livello di cultura diffusa"
Tullio De Mauro

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