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Il mare

Di: Maurizio Nagni | 07/08/2009
In queste calde giornate d'estate permettemi di presentarvi il racconto di uno scrittore russo (abkhaso per la precisione), forse non tra i più conosciuti fuori dai patri confini: Fazil' Abdulovič Iskander Prima di lasciarvi al testo credo sia importante invitarvi a non lasciare che la realtà di tutti i giorni, l'esperienza minima quotidiana, il costante stillicidio di idee e di sogni uccida l'anima del racconto che segue. Lasciate piuttosto che le sere d'estate siano il luogo ideale per leggere, spero una volta di più, una favola a chi più amate. Buone vacanze a tutti.


Il mare

(traduzione dal russo - Maurizio Nagni)

Non ricordo quando ho imparato a camminare ma ricordo bene quando ho imparato a nuotare. Ho imparato a nuotare da solo, ma chi mi ha insegnato a camminare, lo ignoro. A casa nostra vivevano molti persone più o meno conosciute. Venivano giù dalla montagna, venivano dai villaggi per andare nei vari instituti, studiavano e se ne tornavano a casa. Si può dire che passavano per casa nostra, come attraverso un tunnel. Molti di loro erano persone interessanti e mi piacevano, ma la mia passione era il mare e per questo ci correvo appena possibile.
D'estate il mare era una festa interminabile. Spesso capitava che non appena uscivamo di casa con gli amici, già cominciavamo a correre "Veloci! Veloci!!". Correvamo sulla strada, dove c'era sempre un buon odore di pesce; passavamo accanto al bianco delle case, e all'improvviso, finalmente, il mare! Correvamo in basso, verso la spiaggia e volavamo nell'acqua tiepida.
Ricordo bene il giorno quando ho cominciato a nuotare; quando ho sentito che potevo nuotare; quando sentii che il mare mi stava aiutando. Avevo sette anni, quando feci questa meravigliosa scoperta. Sentivo che io ed il mare ci capivamo l'un l'altro. E poi, adesso, non solo sapevo camminare, osservare, parlare ma anche nuotare, senza paura di quanto fosse profondo! E avevo imparato tutto da solo!
Non lontano da dove solitamente entravamo in mare, nell'acqua c'era un piccolo scoglio, che le piccole onde coprivano facilmente, e di solito nuotavo verso di lui, mi stendevo e mi riposavo. In acqua e sulla spiaggia c'era sempre molta gente. Potevi dividere i villeggianti tra quelli con una pelle molto bianca oppure quelli con la pelle molto scura. Un po' distante dalla folla sedeva una ragazza. Leggeva un libro, o meglio, faceva finta di leggere. Accanto a lei sedeva un ragazzo con un abito bianco che indossava delle nuovissime scarpe nere. Ogni tanto lui diceva qualche cosa alla ragazza e lei sorrideva e abbassando gli occhi, forse perchè lo sguardo del ragazzo verso di lei era troppo vicino e diretto. Lei faceva come se volesse leggere, ma non appena il ragazzo diceva qualcosa, ecco che lei mostrava un sorriso bianco come l'abito di lui. Io non capivo molto di quel che facevano ma qualche volta guardavo verso di loro, dal mio scoglio, e vedevo che erano felici. Il ragazzo ogni tanto voltava lo sguardo verso il mare, vedevo che era sereno e sicuro come una persona alla quale va tutto bene ed alla quale la vita continuerà ancora a sorridere. Avevo già nuotato più di una volta verso lo scoglio; ero stanco e avevo freddo ma entravo in acqua ancora e ancora.
Dalla spiagga allo scoglio e ritorno: uno. Dalla spiagga allo scoglio: due. Dalla spiaggia allo scoglio.... e improvvisamente capii che stavo annegando. L'acqua mi copriva: era amara, fredda e nemica. Ma mi riprendevo e tornavo in superficie. Il sole mi colpiva sul volto, cominciavo ad avere paura, voltai la testa verso la spiaggia e vidi il ragazzo con la giovane.
Non so perchè non gridai. Non ero impazzito. Aspettavo che il ragazzo si voltasse nella mia direzione. Ma poi pensai che non mi avrebbe voluto salvare per non sciupare il suo vestito bianco e le sue nuovissime scarpe nere. Con questa triste idea ricominciai ad andare a fondo, ed ancora a reagire e tornare in superficie, dove il sole tornava ad accecarmi gli occhi, ma ora le voci delle persone sulla spiaggia erano più vicine.
La seconda volta riemersi non lontano dove sedevano il giovane e la ragazza. A un tratto notai che lui stava guardando verso di me. Difficile si ricordasse di me. "Sono io, io! -avrei voluto gridare- Nuotavo vicino a voi, vi dovete ricordare di me!" E nello stesso tempo cercavo di non sembrare spaventato a quelli che nuotavano vicino a loro. Ma il ragazzo mi aveva riconosciuto. Cadere nel mare ora mi sembrava meno pesante mentre le onde si chiudevano sulla mia testa.... Improvvisamente qualcosa mi prese e mi portò a riva. Capii che il ragazzo mi aveva salvato. Non lo ringraziai subito ma rimasi disteso immobile sulla spiaggia con gli occhi chiusi. Io pensavo che quel che aveva fatto gli era costato il bel vestito che indossava e per questo rimanevo serioso in quella posizione. "Bisogna chiamare un dottore" senti dire dalla voce della ragazza. "Non serve, è già tornato in se", rispose lui. Lei mi mise una mano tenera e gentile sulla fronte. Aprii gli occhi.

"Allora, nuoterai ancora così lontano la prossima volta?" disse il giovane
"No, non lo farò", risposi prontamente.
"Peccato..." ribattè lui.

Capii che era un adulto fuori dal comune e per questo bisognava reagire allo stesso modo. Mi alzai e corsi verso il mare. Facilmente raggiunsi lo scoglio e facilmente tornai a nuotare verso riva. Il mare mi aveva ridato la forza che la paura mi aveva portato via. Il ragazzo sulla spiaggia mi sorrideva ed io nuotavo verso il suo sorriso. Quando uscii dall'acqua il giovane con la ragazza si stavano allontanando lentamente lungo la spiaggia mentre lei teneva in mano il suo inutile libro, finalmente chiuso.
E così lui si allontanò per sempre dalla mia vita, con la sua giovane amica, ma io ancora ricordo quel ragazzo che mi ha ridato la vita e la fiducia.

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