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CHIUDIAMO I CAMPI NOMADI!

Di: Gianni Ciaccio | 16/02/2009
Chi è entrato in un campo nomadi? Nessuno? Pochi?
E perché?
Forse perché abbiamo paura? Perché sono gli abitanti sono diversi nei vestiti, nella cultura? Rubano? Usano violenza?
Quante domande ci poniamo nei confronti dei nomadi, e poi perché li chiamiamo nomadi?
Nell’archivio podrubriche di Radio Rock The Original c’è la registrazione fatta da Piccola Radio dell’Aria (ne so qualcosa) ad Alexian Santino Spinelli, italiano, rom e portavoce europeo dei rom. Ricordo una foga contagiosa nello spiegare e testimoniare.

In questi giorni mi sono posto una domanda: “Perché in Italia ci sono i campi nomadi?”. Non sono riuscito a darmi una risposta, e non ho travata traccia di campi nomadi negli altri paesi europei.
Ho la sensazione che questi campi abbiano fallito la loro funzione storica, ammesso che ne abbiano mai avuta una prima. Che siano lo specchio del fallimento di politiche segregazioniste del passato che si protraggono ancora oggi. Hanno fallito all’interno di città enormi come Roma, hanno fallito nelle periferie ed ora li provano a spostare in provincia dove piccole comunità non hanno nessuno strumento per affrontare i campi nomadi, ne sarebbero schiacciate. “Affrontare”? Ma allora sei razzista, perché non usi integrare, più dolce e rassicurante?
Ecco il punto. Nei campi nomadi non c’è l’ombra di integrazione, c’è un ghetto chiuso ed impermeabile alle reciproche culture.
Ci ricorda Spinelli:“In Italia solo il 20% dei rom vive nei cosiddetti campi nomadi. Tutti gli altri vivono in case normali, hanno lavori normali, sono spesso professionisti o gente inserita nel mondo artistico.”
Eppure facciamo confusione tra zingari e rom, pensiamo che vivano tutti nelle baracche, che siano tutti ladri…

L’unica vera integrazione si sviluppa nei quartieri, nei luoghi abitati, dove chiunque deve essere messo in condizione di vivere, onestamente.
Nessuna etnia o comunità deve essere isolata, tantomeno in situazione di profondo disagio e degrado come accade nei campi nomadi. Credo che queste persone, come tutte le altre, debbano inserirsi “normalmente” nel tessuto sociale. Debbano avere documenti e lavoro, debbano cercarsi una casa dove abitare con la propria famiglia. Pagare l’affitto e le utenze. Trovo triste, paurosa e razzista una nazione con i campi nomadi, mi sembra un modo per scaricarsi la coscienza (noi abbiamo fatto il possibile!), un ennesimo atto di ipocrisia collettiva.
Sto con Spinelli: “La prima cosa che si dovrebbe fare è l'opposto di quello che si discute in questi giorni sui giornali a proposito di muri, barriere, nuove segregazioni, allarmi da invasione. Bisognerebbe cioè chiudere i campi e creare le condizioni per una reale alternativa di vita per tutte queste persone che oggi vivono, in questi campi, in condizioni disumane, degradanti. Tutti quelli che arrivano in Italia dai vari paesi di provenienza vivevano in case normali, facevano una vita normale. Non si capisce perché poi devono essere inchiodati alla loro condizione di nomadi coatti. L'altro piano delle azioni positive che si possono mettere in campo riguarda la cultura. Bisogna smetterla con i luoghi comuni.”

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