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Quando l'alluvione.

Di: Gianni Ciaccio | 13/12/2008
Quando l'alluvione ci riporta indietro nel tempo. Non sono passati molti anni, in fondo. Da quando il tempo si annodava con il cielo. Ed il tempo era quello dei giorni che passavano, ma anche quello bello o brutto che cambiava il corso di una stagione agricola e quindi del maggiore o minore benessere di tante famiglie.
Le città non avevano ancora regalato il senso di onnipotenza a tutti, rimaneva solo ai giovani, bisognosi di esso se non altro per provare ad emergere. Le città non erano ancora divenute il supermarket dei sogni, sempre aperto e pieno di apparenti offerte strepitose. Insomma la vita era legata all'"ambiente", come diciamo oggi. E lo rispettavano. Altro che se lo rispettavano, l'"ambiente". Non a parole, come noi, ma con i fatti e la devozione popolare. Perché il cielo ancora aiutava e se non aiutava nel concreto, magari, aiutava nel privato, quello molto profondo, insondabile, personalissimo. Ed i fatti erano frutto di tradizioni secolari, nessuno avrebbe avvelenato un fiume o i campi o la frutta. Perché? Lì ci abitava, mica era matto!
Ora che non abitiamo da nessuna parte, già il condominio è un concetto estraniante e deresponsabilizzante. Ora che abbiamo sconfitto la notte con la luce perenne, il male con la sua inesistenza, le ideologie con il loro superamento, la spiritualità con una battuta di spirito, la natura con le città... ora, dicevo, basta una notte di tuoni, fulmini e tanta acqua per impaurire Roma. Per scoprire che ci sono ancora zone alte ed altre basse dove può arrivare l'acqua del fiume; che i tombini e tutti i buchi che di solito ingoiano tutte le nostre porcherie, si possono rivoltare ed addirittura risputarcele in faccia.
Allora, forse, faremmo bene a ridimensionarci. A rientrare noi nell'alveo. Ripensarci non come superuomini che hanno imbrigliato e soggiogato il mondo, ma i soliti omuncoli ai quali basta una settimana d'acqua torrenziale per tornare ad avere paura.
Video simulazione CNR del 2002 esondazione Tevere

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