Sayed Pervez Kaambaskh, studente di giornalismo di 23 anni, appena assunto al "Nuovo Mondo" quotidiano di Mazar-i-Sharif, nord Afghanistan, può guardare avanti con maggiore speranza. E con lui la sua famiglia e le migliaia di persone che, in tutto il mondo, hanno firmato appelli per chiedere la revisione della sentenza della Camera Alta Afgana che lo condannava a morte.
Sayed sembra che avesse scaricato da internet e diffuso un articolo a favore della libertà delle donne. Tema evidentemente scottante ancora oggi a sei anni dalla caduta dei talebani. Solo pochi giorni fa in un'intervista a Radio Free Afghanistan, il procuratore generale della provincia di Balkh Hafizullah Khaliqyar aveva difeso la sentenza, affermando che il processo era stato condotto in modo "molto islamico" e non c'era stata nessuna violazione dei diritti umani o della libertà di stampa. "Non ha fatto un errore giornalistico, ha insultato la nostra religione", aveva detto. Khaliqyar, secondo il quale il giornalista aveva confessato, in una conferenza stampa aveva minacciato l'arresto per tutti i giornalisti che si fossero levati in difesa di Kambakhsh.
Ieri la Camera Alta ha definito un errore tecnico la prima sentenza. Sayed, in carcere da ottobre, non è ancora un uomo libero, ma almeno non rischia la vita attualmente. Una campagna internazionale per la revisione della sentenza era partita dal giornale inglese Independent, circa 74000 firme ad oggi, ripresa da molti giornali internazionali, caldeggiata da organismi internazionali e politici, anche italiani. Adesso ci aspettiamo ulteriori passi anche se il presidente Karzai, al quale potrebbe spettare l'ultima parola, è stretto in una morsa tra le comunità islamiche e quella internazionale.
Condividi
TweetCommenta