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Il pulcino

Di: Franz Andreani | 22/02/2013
A poche ore dal voto non potevo risparmiarvi il mio sermone sulle elezioni politiche in arrivo, sollecitato una volta di più dalla campagna delle apparenze e de pochi fatti.
È pure giusto che ci si conti nelle piazze per chi se lo può permettere o sui social network, ma sarebbe stato magnifico se ci avessero risparmiato argomenti tipicamente di facciata da campagna elettorale, ed i vari candidati si fossero concentrati sui temi veri.
È una delle votazioni più importanti della nostra storia repubblicana, quale elezione non lo è stata in passato, eppure questo serie di incontri politici a distanza, senza mai che ci sia stato un confronto vero, un contraddittorio, assomiglia tanto a quella operazione di facciata fatta da un solerte dirigente Alitalia che ha sperato di cancellare il ricordo della brutta avventura passata da un gruppo di passeggeri semplicemente rimuovendo le insegne della compagnia aerea nell’aeromobile abbandonato sul bordo di una pista dell’aeroporto di Fiumicino. Questo è il nostro paese, questa e la dirigenza non solo politica ma anche amministrativa: non si bada più alla sostanza ma alla forma, alla frase d’effetto, lo shock appunto a cui tutti si appellano, tanto la gente dimentica.
Abbiamo dimenticato che cosa sia una statura internazionale se un leader politico mette in bocca parole che un capo di governo straniero potrebbe aver pensato, senza però osare dirle, solo per rassicurare con le parole il suo elettorato; si può sbandierare qualche laurea che non si ha, per rassicurare che dietro ad un variopinto modo di vestire c’è un altrettanto concreto modo di pensare; basta mandare una busta che assomigli un pochino ad una lettera dell’agenzia delle entrate per far credere che quei soldi ci saranno restituiti, togliendoli ad altri poveracci; basterà sbandierare la tracciabilità a 500 euro per far finta che in Italia non siano le banche coloro le quali stanno effettivamente guadagnando dalla crisi mentre tutto il resto del paese è fermo: non si paga un debito, non ci si assume nessuna responsabilità, si cancella solo la scritta con un po’ di vernice bianca e via, come si cancella un passato o un diritto.
In mezzo a tutto questo attaccamento al potere, spunta l’immancabile sentimentalismo popolare, il qualunquismo, il bene del popolo, come se da una piazza o dai palazzi del potere fosse chiaro cosa vuole la gente. Si fa veramente fatica a scorgere una proposta attuabile e concreta tra le maglie del qualunquismo buonista e giustizialista, ma non per la cattiva volontà dei singoli, ma perché ci manca quella attitudine al bene comune che ha fatto perdere anche a noi il sociale, il vero significato di uno stato. Tutti siamo pronti a fare un passo indietro ma se si tocca una cosa che ci riguarda facciamo muro, senza neppure riuscire più a distinguere le conquiste fatte con le lotte sociali, dai privilegi avuti in dote da questa o quella forma di governo.
Scoraggiato? Forse, ma ciò non mi ha impedito di guardarmi attorno. Certo ogni cosa che vedo sembra sporcata dall’interesse dei singoli, ma sono comunque fermamente convinto che ci sia gente all’altezza della situazione come lo siamo anche tutti noi quando entriamo in cabina ed esercitiamo il nostro diritto. L’unica è cercare, scavare tra le contraddizioni, accogliere anche quelle che provengono della parte avversa e farne tesoro, tanto tutti noi sappiamo che nessuno avrà davvero vinto, il paese è troppo sfilacciato per consegnare al dopo voto un segnale forte e deciso, tanto sappiamo che dovremo trovare un compromesso, sulla base di una maggiore equità. Io spero tanto che scatti una scintilla, di quelle a catena, quella sorta di speranza o di illusione che è capace di muovere un popolo che percepisce che le cose, attraverso il suo impegno, stanno cambiando in meglio e che non si sente più pulcino sul ciglio del baratro.

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