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Django Unchained

Di: Marcello Berlich | 08/02/2013
... che poi alla fine questa rischia di essere una recensione completamente inutile: a poco più di una settimana dall'uscita, riuscire a dire qualcosa di originale su Django Unchained è esercizio arduo e anche un tantino presuntuoso: il film è stato già ampiamente sviscerato e sezionato...
La storia è più o meno nota: un cacciatore di taglie tedesco (Christoph Waltz), libera per i suoi scopi personali lo schiavo Django (Jamie Foxx); trai due in seguito nasce un forte legame di amcizia che li porterà a muoversi alla ricerca della moglie dello stesso Django (Kerrie Washington), schiava di un terribile proprietario terriero (Leonardo Di Caprio), fino all'inevitabile carneficina finale.
Dopo i gangster, la black exploitation, le arti marziali, i maniaci autostradali, i film di guerra, Tarantino si butta sul western, omaggiando ancora una volta il cinema italiano 'di genere' e ispirandosi ai cari, vecchi, 'spaghetti western'.
Tarantino, lo hanno già scritto altri, fa film non tanto per 'riflettere sui massimi sistemi': il suo scopo alla fine è quello di intrattenere lo spettatore, regalandogli qualche ora di svago, coinvolgendolo e prendendolo per mano, per poi improvvisamente vondulto davanti a una finestra spalancata e scaraventarlo di sotto, precipitandolo nel solito baratro di 'esagerazioni senza freni' che giunge puntuale in ogni suo film: anche stavolta sotto forma di una bella carneficina finale, ricca di spunti che non possono fare a meno di far sorridere.
Si ride, in parte ci si indigna di fronte alla violenza della schiavitù: Tarantino non ci risparmia (quasi) nulla, in virtù di quella che un'illustrazione di quanto avveniva ai tempi, crudeltà assortite incluse, che non può certo essere accusata di intenti di 'spettacolarizzazione': visto il film, la polemica imbastita da Spike Lee sembra abbastanza tendenziosa e immotivata. Un film western corroborato di trovare ironiche, che non si risparmia accenti 'slasher', che come al solito in Tarantino trova i suoi punti di forza nella perfezione formale e nella regia ai massimi livelli, che stavolta usa in modo impeccabile le scenografie mozzafiato delle montagne americane.
Non mancano certe 'fisse' stilistiche di Tarantino: anche qui alcune delle 'scene madri' si svolgono in contesti conviviali: Tarantino ci fa ancora una volta assaporare un dolce, ma ingolosire è soprattutto quella che resterà negli annali come una delle birre più succulente della storia del cinema...
Il tutto affidato a un cast come al solito di livello eccelso, sul quale svettano Waltz e Di Caprio, accompagnati da un Samuel L. Jackson formidabile nel ruolo del capo della servitù talmente succube e fedele del 'padrone' dal non esitare a mettersi dalla sua parte contro la sua stessa gente: un trio che finisce quasi per mettere in ombra il protagonista Foxx, comunque efficace nel dare vita al personaggio, in un cast completato da una Kerie Washington che svolge egregiamente l'incarico affidatole, e arricchito dal solito 'nugolo'di 'comparsate', tra cui spiccano Don Johnson, Bruce Dern, l'immancabile Michael Parks, fino al genio degli effetti speciali Tom Savini e allo stesso Tarantino che si 'regala' una delle morti più spassose dell'intero film.
Immancabile nota di merito per la colonna sonora, che va dalle colonne sonore di Morricone, Micalizzi, Ortolani e Bacalov, fino al tema di Trinità, al folk americano di ieri (Johnny Cash, Jim Croce) e oggi (John Legend). Tarantino è tornato e, come al solito, W Tarantino!!!

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