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Le lettere segrete di Jo

Di: Bookworm | 14/02/2013
di Gabrielle Donnelly, 2011.
Cominciamo dal titolo: l’originale era ‘The Little Women Letters’, cioè Le lettere di Piccole Donne. Evidentemente nel 2011 in Italia andava di moda la letteratura ‘segreta’, quindi l’editore ha voluto secretare anche il titolo. Perché le lettere in questione sono forse dimenticate, ritrovate, riscoperte, al limite nascoste, ma segrete assolutamente no, tant’è che la loro autrice, la più amata delle quattro protagoniste di Piccole Donne, le aveva raccolte (secondo il romanzo) in vista di una loro pubblicazione.
La storia segue una linea abbastanza semplice: racconta le vicende di tre sorelle, figlie di un editore inglese di libri di viaggio e di una psicoterapeuta ex-hippy americana che è la nipote appunto della protagonista di Piccole Donne, che nel carattere ricalcano fedelmente le tre sorelle maggiori March. L’assennata sorella maggiore Emma, che sta organizzando il suo matrimonio dopo anni di prudente convivenza, tiene la sua vita sotto stretto controllo, va in crisi morale quando si lascia convincere a fare la spesa folle di un paio di scarpe di lusso, è il ritratto della saggia Meg. La mediana, Lulu, che a venticinque anni non ha deciso ancora cosa fare da grande, non sa mantenere i rapporti con le persone e il mondo, si rifugia in un lavoretto precario in un negozio di antiquario ignorando la possibilità di una brillante carriera universitaria in biochimica, è la degna erede della scontrosa Jo, la sua bisnonna scrittrice. Sophie è la più giovane, bionda, effervescente, svampita, decisa a fare l’attrice e assolutamente a suo agio con chiunque, ed è la fotografia della piccola Amy.
Lulu abita con un’amica, e non è per niente contenta quando l’amica accetta di dividere la casa anche con Sophie, che Lulu ha sempre trovato troppo invadente e confusionaria. Inoltre il negozio di antiquario sta per chiudere, e tutti pretendono da lei che si assuma le responsabilità di una giovane adulta e decida cosa fare della sua vita, a cominciare dal trovarsi un lavoro ‘serio’. Si rifugia quindi nella soffitta, dove scopre le lettere della bisnonna, che le aveva appunto raccolte, facendosele rispedire dalle sorelle alle quali erano indirizzate, perché il suo editore aveva in mente di pubblicarle in un volume per seguire il successo che stavano avendo all’epoca i suoi libri. Le lettere sembrano seguire i sentimenti e le vicende della nipote, facendola sentire meno sola e aliena nell’affrontare il mondo. Per chi poi è cresciuto con Piccole Donne, offrono una specie di ‘backstage bonus’ sull’amatissima storia di L.M. Alcott.
Anche le altre sorelle, e i genitori, affrontano ciascuno il suo momento di crisi e sviluppo, che sono riportati nei termini dei moderni romanzi di formazione, la convivenza invece del fidanzamento, il trasferimento per lavoro invece del partire per la guerra, i problemi di convivenza fra amici invece di quelli della rigida vita sociale dell’America di fine ottocento, ma seguono gli stessi meccanismi buonisti e risolutivi dell’originale. Bisogna poi considerare che Piccole Donne era esso stesso una trasposizione in forma di romanzo delle vicende della famiglia Alcott, quindi, per quanto scritto con entusiasmo e la migliore buona volontà, ci arrivano sempre delle emozioni, come dire, di terza mano.
Insomma, un atto di piccola pirateria, abbastanza piacevole da leggere a tempo perso, ma che non lascerà grandi tracce di sé. Se non forse nella figura del venditore di scarpe, Nigel come nome di battesimo di popolano londinese e Manolete nome d’arte come designer di calzature di lusso, che chiama ciascuna creazione con un nome di donna e rifiuta di venderle alle donne a cui non starebbero bene, mentre riuscirebbe a vendere un elefante rosa a un commerciante di cristalli se volesse; lui riesce a portare un soffio di caratterizzazione fresca e autentica nelle sue poche scene. Non per niente è lui il diavoletto tentatore infiltratosi chissà come in quest’Eden post-Vittoriano.

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