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Peter Pan nei Giardini di Kensington

Di: Bookworm | 13/01/2013
Quasi tutti conoscono Peter Pan come il protagonista del film di Walt Disney, quel ragazzo magro e scattante vestito di verde che porta tre bambini di Londra in volo fin o all’Isola-che-non-c’è, dove vivono tante avventure con i ragazzi perduti, gli indiani, le fate, i lupi, i pirati capeggiati dal terribile Capitan Uncino, e, soprattutto... il coccodrillo.
Ed è giusto che quello che è passato alla storia, almeno per noi, sia un personaggio cinematografico. Perché il personaggio letterario originale viene dal teatro. James Matthew Barrie scrisse nel 1902 un libro per un pubblico adulto, “L’uccellino bianco, o, Avventure nei Giardini di Kensington”. Da uno dei personaggi di questo, il principe degli elfi, trasse nel 1904 lo spettacolo teatrale “Peter Pan, o il ragazzo che non voleva crescere”, e solo nel 1906, in seguito al successo del pezzo teatrale, vennero stampati i capitoli dell’Uccellino bianco relativi al personaggio sotto il titolo “Peter Pan nei Giardini di Kensington”, quindi nel 1911 il libro completo “Peter e Wendy”. La prima parte, appunto Peter Pan nei Giardini di Kensington è un racconto che appare costruito insieme dal narratore e da un bambino, David; vengono descritti i Giardini, ed il narratore chiede costantemente conferma a David dei giochi, degli avvenimenti, delle leggende e della parte magica o nascosta della vita dei giardini, che il bambino ricorda da quando era un uccello. Perché i bambini per Barrie non li porta la cicogna: sono uccelli, e vivono sull’isola della Vasca, quell’isola nella parte dei Giardini che non è accessibile al pubblico (e non è l’Isola-che-non-c’è). Il vecchio corvo Salomone dirige la comunità di uccelli, e a lui vengono portate le barchette fatte di fogli di carta su cui le mamme hanno scritto quanti bambini vogliono, e come vorrebbero che fossero, per poi metterle in acqua dalla riva pubblica della Vasca, sapendo che arriveranno all’isola. In base alle ordinazioni, Salomone manda gli uccelli che diventeranno bambini nelle case di destinazione. Ma i primi tempi i bambini sanno ancora volare, e se le mamme non stanno bene attente c’è il rischio che volino via su per il camino o dalla finestra per tornare all’isola. Questo è quello che fa il piccolo Peter Pan, e tornato sull’isola scopre di non poter più vivere come un uccello, e deve passare molte prove e molte avventure per costruirsi una vita indipendente. Intanto rimanda di giorno in giorno e di mese in mese il ritorno dalla mamma, e quando finalmente si decide, trova la finestra chiusa e un altro bambino al suo posto.
Da qui nasce il Peter Pan egocentrico, irresponsabile, ‘che non vuole crescere’, perché non può ammettere che la scelta gli sia stata alla fine negata. E questo Peter Pan è un bimbetto eternamente piccolo, non giovane, ma nei suoi primi mesi di vita, con i dentini da latte, le gambe paffute, vestito un poco di foglie e un poco di ciò che resta della sua camiciola da notte. E questo esserino, che finché si trova nel mondo delle fate, dell’immaginazione, dell’Isola-che-non-c’è, è forte, agile, furbo, abile spadaccino, ottimo musicista, si trova perso nel mondo ‘vero’ dei bambini, e all’inizio della seconda parte deve farsi ricucire l’ombra ai piedi dall’ago di Wendy, bambina a metà fra il mondo dell’immaginazione dei bimbi e quello pratico degli adulti. Peter porta Wendy e i suoi fratellini all’Isola-che-non-c’è, dove vivono i ragazzi perduti, soprattutto per via dell’abilità di Wendy di raccontare favole, perché sull’isola i ragazzi possono vivere tutte le avventure più fantastiche che gli vengono in mente, ma ascoltare le favole è un bisogno diverso e più profondo. Anche i ragazzi perduti hanno un’origine inquietante: sono i bambini caduti dalle carrozzine quando la mamma o la bambinaia erano disattente, che se dopo una settimana non sono stati reclamati, vengono mandati sull’isola per motivi di spazio. Non ci sono bambine perché le femmine sono troppo furbe per cadere dalla carrozzina. Da questo punto in poi inizia la parte del racconto che quasi tutti conoscono. Coccodrillo compreso, non è una geniale invenzione degli animatori Disney. Chissà come funzionava sul palcoscenico del teatro vittoriano?
Per darvi un’idea dell’atmosfera del Petr Pan di cent’anni fa, potete seguire questo link: http://www.gutenberg.org/files/26998/26998-h/26998-h.htm, E’ il testo dell’edizione inglese del 1910, con le deliziose illustrazioni di Arthur Rackham. Vi lascio con due descrizioni, di quelle che, pur lette da bambini, ci si annidano dentro per tutta la vita; la prima è la descrizione di che cosa sia l’isola che non c’é (ogni bambino ha poi la sua, e gli elementi delle varie isole si mischiano quando si gioca in compagnia):
“Non so se tu abbia mai visto la pianta della mente di una persona. A volte i dottori disegnano piante di altre parti di te, e la tua pianta può essere molto interessante; ma prova a sorprenderli mentre tentano di disegnare la pianta della mente di un bambino, che non solo è confusa, ma si muova continuamente. Ci sono linee a zig zag, come quelle che segnano la tua temperatura su un cartellino, e queste sono forse strade nell’isola; perché il Paese-che-non-c’è è sempre più o meno un’isola, con sorprendenti macchie di colore qua e là, e banchi di corallo e navi al largo, e selvagge tane isolate, e gnomi che per lo più fanno i sarti, e caverne attraverso le quali scorre un fiume, e principi con sei fratelli maggiori, e una capanna che va in rovina, e una piccolissima vecchia col naso a uncino. Se fosse tutto qui, sarebbe facile disegnare quella pianta; ma c’è anche il primo giorno di scuola, catechismo, genitori, la Vasca, ricami, assassini, impiccagioni, verbi che reggono il dativo, il giorno del budino di cioccolato, i primi calzoni, contare fino a cento, tre pence per strapparsi un dente da sé, e così via; e tutte queste cose sono parte dell’isola, oppure un’altra pianta che si mostra attraverso quest’altra, e tutto fa una certa confusione, anche perché non c’è niente che stia fermo.”
La seconda è la maniera per arrivare alla laguna delle sirene – ci ho provato tante e tante volte; qualche volta, ci sono anche riuscita.
“Se chiudi gli occhi (e ammesso, s’intende, che le cose ti vadano bene) può capitarti di vedere una chiazza informe, delicatamente colorata, sospesa nel buio; allora, se stringi di più le palpebre, la chiazza comincia a prender forma, e i colori diventano così vividi, che se stringi un po’ di più, li vedi farsi di fuoco. Ma prima del fuoco, vedi la laguna. E’ il miglior modo per avvicinarsi ad essa sulla terraferma, ed è un momento divino; se di questi momenti ce ne potessero esser due, vedresti la spuma dei marosi e udresti le sirene cantare.”

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