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Harrington – Romanzo

Di: Bookworm | 10/12/2012
di Maria Edgeworth, introduzione e note di Carla De Petris, traduzione di Raffaella Leproni. Salomone Belforte & C., 2012, € 16.
Questo romanzo è tante cose incoraggianti e coraggiose. Intanto, con i tempi che corrono, è ammirevole il coraggio dell’editore livornese Salomone Belforte, che pubblica nella sua Collana di Studi Ebraici il romanzo del 1817 di una scrittrice inglese praticamente sconosciuta in Italia (e vedremo poi cosa c’entra con gli studi ebraici); e il coraggio della curatrice De Petris e della traduttrice Leproni che hanno fatto tutto il lavoro senza sapere bene se e come avrebbero pubblicato. E il coraggio della scrittrice, nel tentare di abbattere una serie di pregiudizi contro gli Ebrei, così profondamente radicati all’epoca da passare quasi inosservati. Cominciamo da lei. Nata in Inghilterra presumibilmente nel 1767, si trasferì in Irlanda con la famiglia nel 1782. Figlia di un uomo politico, scrittore e inventore illuminista, viaggiò in tutta Europa e conobbe molte delle menti più brillanti del tempo. Scrisse molti libri, di didattica, narrativa per bambini e romanzi per adulti, di cui uno, “Castle Rackrent” scritto nel 1800, che critica la gestione delle terre irlandesi da parte dei proprietari inglesi, è rimasto abbastanza popolare fino ai nostri giorni. Questa scrittrice ricevette un giorno una lettera da un’Ebrea americana, che le chiedeva come mai una donna intelligente e liberale come lei, che scriveva di educazione e per i bambini, riportava nei suoi romanzi e anche nelle storie per bambini tutti i modelli dell’Ebreo “cattivo”, avaro, senza scrupoli, malvagio, che imperavano all’epoca. Lei ci rimase malissimo, soprattutto perché lo aveva fatto in maniera assolutamente inconsapevole, tanto profondamente erano radicati quei pregiudizi. Per rimediare, scrisse questo romanzo, in cui il protagonista, un giovane inglese di buona famiglia, da bambino viene talmente spaventato dalla sua tata con le storie sul vecchio straccivendolo Simon l’Ebreo, che lo avrebbe portato via nel suo sacco per sacrificarlo nei terribili riti magici degli Ebrei, che se ne fa una malattia, al punto che anche molti anni dopo arriva a sentirsi male alla vista di un quadro che rappresenta uno stereotipo di Ebreo malvagio. Il giovane, che non prova alcun interesse per la compagnia delle fatue giovani della società londinese, dipinte come pupattole interessate a null’altro che alla moda e all’ostentazione, incontra durante gli anni di università un professore ebreo la cui compagnia lo affascina, e lo aiuta a superare i pregiudizi infantili. Finiti gli studi e tornato a Londra incontra a teatro una giovane bellissima, sensibile e intelligente, la figlia di un Ebreo spagnolo recentemente trasferitosi a Londra, allevata negli Stati Uniti dove la società è molto più liberale, e sconvolta per il muro di pregiudizi che si trova ad affrontare in Inghilterra. Ovviamente se ne innamora e stringe anche una forte amicizia con il padre di lei, il signor Montenero, un Ebreo così buono e intelligente che non pare nemmeno vero (e in effetti ho sentito un professore ebreo criticare il libro appunto per questo; nel racconto tutti gli Ebrei, nessuno escluso, nemmeno il vecchio Simon, lo straccivendolo alla radice di tutte le paure del protagonista, sono buonissimi, aiutano tutti, sono generosi, porgono sempre l’altra guancia ai soprusi degli Inglesi, insomma la Edgeworth ha decisamente esagerato). La storia prosegue quindi sull’amore fra i due, contrastato dai pregiudizi della società meschina e invidiosa (che viene incarnata in particolare da un vecchio compagno di scuola di Harrington, Lord Mowbray, che vuole rubargli la ragazza perché ambisce alle sue ricchezze), e comprende anche i moti popolari di Londra del 1780, i “Gordon Riots”, contro i cattolici. E’ interessante notare che la casa degli Ebrei viene attaccata perché danno asilo a due donne sospettate di essere cattoliche, e viene difesa da una donna del popolo, una “donna delle arance”, perché all’epoca i ricchi Ebrei di Londra per fare la carità compravano e distribuivano fra i venditori al minuto grandi quantità di arance, quindi erano molto benvoluti da questa parte del popolino. La Edgeworth riesce quindi a inserire nella sua battaglia contro i pregiudizi da sfatare anche le donne del popolo, che siedono tutto il giorno sporche e lacere accanto alle loro cassette di arance, fumando la pipa, e gli Irlandesi, visto che la coraggiosa e generosa signora in questione è appunto irlandese.
Quindi un romanzo forse troppo benintenzionato, ma una lettura molto godibile (anche grazie alla traduzione magistrale), uno spaccato interessante della società inglese di due secoli fa, e una lezione su come rompere i nostri schemi mentali, quando riusciamo ad accorgerci di averli.

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