Grazie dei fior

Mi verrebbe quasi da ringraziarlo il “fiorito” uomo di partito, non politico ci tengo a dirlo, per aver scoperchiato la pentola della regione Lazio, una delle tante pentole che ribollono e che vengono facilmente tenute tappate nel nostro paese. Corruzione, malaffare, peculato e concussione sono reati legati al potere, non alla politica, da sempre lo sono; ma è dagli anni 80, dai governi Craxi, agli albori del berlusconismo, che la cosa è diventata sfacciata, da mostrarsi come vanto. Questa incultura nella quale galleggiamo fianco a fianco con le montagne di rifiuti indifferenziati che ci ostiniamo a produrre, ci fa affermare noi stessi nella frase che noi non siamo diversi e più fessi degli altri. E’ colpa dell’uomo berlusconi e di tutto il suo entourage se la politica è stata svilita, se il suo campo si è ristretto alla mera gestione delle faccende e degli interessi per cui ogni categoria, ogni corporazione, ha dovuto badare a se stessa. In questi ultimi 30 anni sono nate delle distorsioni sociali fortissime: alcune categorie forti ed influenti sono diventate delle potenti corporazioni che guardano agli interessi dei propri aderenti, quelle che noi chiamiamo caste sono il frutto della distorsioni operate da governi che si sono succeduti e che gradualmente hanno spostato l’interesse comune negli interessi delle singole parti contrapposte, addirittura facendo gli interessi di gruppi ristrettissimi, che purtroppo l’attuale governo non può far altro che certificare. Anzi proprio contrapponendo gli interessi il potere ha avuto miglior gioco e si è assicurato, in un deserto ideologico assoluto, il potere su una nazione di sudditi.
Perché il problema è forse proprio la mancanza di ideologie, laddove fino ad un po’ di tempo fa avremmo pensato che ce ne erano troppe. Una volta esistevano i partiti con i loro apparati che si occupavano di vigilare ed applicare l’ideologia, magari c’era un eccesso di rigidità ma in fondo questa era una garanzia, un confine di onestà entro il quale il politico, il manager pubblico, doveva operare e per il quale era chiamato a rispondere alle strutture del partito. Una volta la politica, il partito con il suo sistema ideologico, governava sugli amministratori pubblici e ne dettava i confini morali, ora questo non avviene, gli stessi partiti di sinistra così liquidi e democratici sono la culla di uno scambio di favori quotidiano.
La storia dell’ultima giunta alla regione Lazio ne è l’emblema. Solo ora me ne sono fatto un’idea più precisa vedendola nella prospettiva dello scambio di interessi tra parti che si dicono contrapposte. Me ne sono fatta un’idea in un periodo nel quale la base del PD, almeno in buona parte del Lazio dove vivo, sta chiedendo a gran voce spiegazioni ai consiglieri regionali e a tutti gli organi di partito, sta chiedendo anche che sia fatto un azzeramento degli uomini. Potrei avanzare questa ipotesi. Il PDL non aveva propri eletti per via del pasticcio che il suo rappresentante era riuscito a fare durante la presentazione delle liste elettorali alle ultime elezioni regionali, ed è quindi costretto ad appoggiare la Polverini. Questo appoggio ha un prezzo che viene riscosso sotto forma di delibere del consiglio regionale che aumentano da 1 a 14 milioni di euro la dotazione che si spartiscono i gruppi consiliari. In questo gioco i rappresentanti di minoranza, che pure siedono nell’ufficio di presidenza si “alleano” con la Polverini pur di far la guerra al sindaco di Roma Alemanno e appoggiano la spesa anziché “rivoltare i tavoli” come avrebbero dovuto fare. Gli amministratori, una volta scoperto il loro tacito assenso e la loro subordinazione al gioco, si giustificheranno dando la colpa al loro partito, il PD, che non c’era in quanto allora era commissariato nelle mani di Vannino Chiti vicepresidente del Senato. Se il partito fosse stato presente probabilmente questo non sarebbe successo. La responsabilità politica eppure con la legge del “che io sono fesso” nessuno se la vuole assumere ed i consiglieri si proteggono pubblicando sulla Rete i resoconti delle spese effettuate per il collegio elettorale. È un errore ridurre la discussione alla natura delle spese.
La politica ha ristretto il proprio raggio d’azione come ha detto Agnese Moro in un pubblico dibattito giusto ieri, nel senso che non sembra più occuparsi di economia, di scuola, di sanità, ambiente, cultura, si occupa di maneggiare consenso elettorale, mediando interessi fintamente contrapposti. Il paese è marcio perché ha compresso la sua capacità di discussione, perché non si è accorto che la politica si fa con le azioni di tutti i giorni, perché ha isolato le categorie più deboli come i lavoratori e le classi meno abbienti, ha accettato che le donne diventassero meno che oggetti, piatte figurine bidimensionali, icone del nostro tempo, perché ha illuso la gran parte della popolazione dando loro l’idea che con un bello schermo piatto e la finta capacità di scegliere una gran messe di programmi ci sia la più ampia visione del mondo e della realtà. Questi politici hanno scientificamente tolto la voglia di parlare dei problemi di tutti, che stanno diventando sempre più dei tabù personali da risolversi nella propria cerchia; non mi stupisco se poi quando qualcuno non ne trova la soluzione, quando ci si trova di fronte alla disfatta, non ci sia altro mezzo che suicidarsi, che rivolgere la violenza, che dovrebbe essere rivolta contro chi ci ha resi sudditi, contro se stessi.
Spero davvero di poter dire grazie dei fior, spero che questo non ci induca a credere che basti un uomo solo per togliere il marcio dalla nostra mentalità, spero che ci dia la consapevolezza che ci vorranno anni e menti e braccia, spero che la misura sia colma e che scatti una presa di coscienza collettiva, non servono armi o sommosse popolari nella nostra situazione, anche perché sarebbero facilmente manovrabili, serve piuttosto uno scatto d’orgoglio nel segno della non furbizia personale, e nel rispetto degli altri, nel normale comportarsi onestamente e nell’isolare chi non è onesto e chi è furbo, uno scatto d’orgoglio che faccia uscire dall’isolamento personale e dalla vergogna e dalla sudditanza collettiva.