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Il manoscritto pervenuto misteriosamente da Sant’Elena

Di: Bookworm | 07/11/2012
a cura di sergio Romano, Bompiani, 1999.
Nel maggio del 1814 Napoleone venne esiliato all’isola d’Elba, una specie di libertà vigilata con i suoi più fedeli ufficiali,ma quando ebbe sentore che si pensava di trasferirlo a Sant’Elena, un’isoletta sperduta nell’Atlantico sulla rotta fra il Brasile e l’Angola, nel febbraio 1815 rientrò in Francia, riprendendo il potere per un breve e intenso periodo, prima di venire esiliato definitivamente appunto a Sant’Elena nell’agosto dello stesso anno. Nel 1817 un editore londinese ricevette un manoscritto, apparentemente di Napoleone, che era un racconto in prima persona della sua vita, le sue guerre, il suo impero, e i motivi delle sue scelte. Alcuni estratti dell’opera, pubblicata a Londra, apparvero nella Gazzetta di Portsmouth e vennero mostrati a Napoleone, che negò di averli scritti. Il primo settembre gli venne consegnata l’opera completa. Napoleone la lesse con grande interesse, obiettando che la cronologia era sbagliata, e svariate notizie sulle battaglie e sugli accordi diplomatici, ma ammettendo che spesso lo scrittore coglieva perfettamente il suo stile, e, cosa più importante, le sue idee, le motivazioni che lo avevano spinto a molte scelte, i suoi ideali.
In questa edizione, corredata fra l’altro di un’utile cronologia e di un ricco glossario, le note di Napoleone (che lui scriveva in terza persona, forse perché il manoscritto utilizza invece la prima) sono state messe a piè di pagina, e in qualche modo rendono ricco e attuale il documento, una storia vissuta quasi in prima persona. Il manoscritto in se è quasi telegrafico, assolutamente secco, come una serie di notizie ANSA (infatti il testo è di appena 103 pagine), e illustra il carattere di un uomo che, essendo bravo a fare la guerra, tendeva a risolvere tutti i problemi con la guerra, non tanto per aggressività quanto per calcolo politico, per portare l’ideale della Rivoluzione a tutto il mondo. La democrazia, seguendo lo spirito della Rivoluzione, doveva basarsi sul principio di uguaglianza, e questo è un principio che viene ribadito spesso, ma naturalmente per farlo il mondo doveva essere unito sotto il suo impero. “Finalmente conclusa, la Rivoluzione diveniva incrollabile sotto una dinastia permanente. La repubblica aveva soddisfatto soltanto le opinioni; l’impero garantiva, con le opinioni, gli interessi.” “Lo Stato era una vasta democrazia diretta da una dittatura: governo comodo sul piano esecutivo, ma temporaneo perché legato alla vita del dittatore. Dovevo rendere la dittatura perpetua creando fra il trono e la democrazia istituzioni stabili e corporazioni vitali. Non poteva fare leva sulle abitudini e sulle illusioni. Ero costretto a fabbricare con i materiali della realtà.” “Poiché non tolleravo né l’arbitrio né l’interpretazione, i funzionari civili si avvezzavano a fare eseguire strettamente le leggi; e si formavano in tal modo all’abitudine e alla rapidità.” Queste sono tutte dichiarazioni messe in bocca a Napoleone dall’anonimo autore, e alle quali lui non trovò nulla da obiettare. Il suo sogno era quindi quello di una democrazia mondiale, diretta da una dittatura la quale, per non avere una scadenza nel tempo, doveva essere ereditaria; e infatti mise su tutti i troni rimasti vacanti, perché caduti dinnanzi alla sua potenza militare, membri della sua famiglia. Un’altra dichiarazione interessante, e preoccupante se così la vogliamo leggere, è questa: “In un sistema politico in cui le parole non vanno d’accordo con le cose, nulla funziona. Il governo si squalifica ricorrendo continuamente alla menzogna, e cade nel disprezzo che ispira tutto ciò che è falso; perché ciò che è falso è debole. Non è più possibile, d’altro canto, giocare d’astuzia in politica: i popoli la sanno troppo lunga; i giornali scrivono troppo. V’è un solo segreto ormai per dirigere il mondo: essere forti; giacché nella forza non v’è errore né illusione.”
Per finire, una lunga nota di Napoleone, quello vero, sulla situazione in Italia, che per noi, duecento anni dopo, ce lo fa sembrare più idealista del Napoleone inventato dal suo anonimo plagiatore: “Tutte le forme organizzative dell’Italia erano provvisorie. Napoleone intendeva fare di questa grande penisola una sola potenza; e in funzione di questi progetti, per tenere nelle proprie mani tutti i popoli italiani, egli riservò a se stesso la corona di ferro. Successivamente, tuttavia, piuttosto che incorporare nel regno l’Italia, preferì annettere all’impero Roma, la Toscana, Genova, il Piemonte. Agì in tal modo perché i popoli lo preferivano, perché l’Impero trasmetteva un più forte impulso, perché ciò consentiva di chiamare in Francia numerosi abitanti di quelle contrade e di mandarvi numerosi francesi, d’incorporare i loro coscritti e i loro marinai nei reggimenti francesi o negli equipaggi della squadra di Tolone. Soltanto per Napoli fu necessario procedere diversamente e conferire al regime provvisorio che vi avevamo instaurato un carattere definitivo. Questa grande città era abituata ad una certa indipendenza, Ferdinando era in Sicilia, la squadra inglese sulle coste. Ma non appena avessimo proclamato il regno d’Italia e il secondo figlio dell’Imperatore fosse stato consacrato a Roma, gli italiani di Sicilia, Sardegna, Napoli, Genova, Piemonte, Firenze, Milano si sarebbero raccolti con entusiasmo intorno al trono dell’antica e nobile Italia.”

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