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Hobberdy Dick, K. M. Briggs 1955

Di: Bookworm | 07/09/2012
Katherine M. Briggs (1898 – 1980) è stata una grande studiosa del folklore inglese. Il padre era una acquarellista specializzato in paesaggi scozzesi, e raccontava spesso alle figlie le favole e le leggende che raccoglieva nei suoi viaggi per dipingere. Katherine si laureò a Oxford con una tesi sul folklore nella letteratura sotto il regno di Giacomo I (1603-1625), un traguardo difficile da raggiungere per una donna in Inghilterra a quell’epoca. Cominciò a scrivere drammi, soprattutto per uso familiare, e a studiare le varie tradizioni del folklore inglese. Il suo primo libro, pubblicato nel 1953, fu uno studio sulle fate: The Personnel of Fairyland; in seguito pubblicò molti studi sulle tradizioni, le fate e folletti britannici, compreso un “Dizionario di Storie del folklore in lingua inglese”, pubblicato in 4 volumi nel 1971.
Hobberdy Dick è un romanzo del 1955, appartenente a quella ricca tradizione inglese di letteratura per ragazzi che tramandava, mischiate alle avventure romantiche e non, le tradizioni popolari, le abitudini, i principi, i valori del vivere inglese. Erano libri scritti dal dopoguerra agli anni ’70 ’80, con i quali è cresciuta la generazione che ora scrive Harry Potter, o tutte le serie fantasy. Ma erano di 150 o 200 pagine, comodi da portare in tasca, da leggere in autobus o seduti sul ramo di un albero, e poco costosi da acquistare.
Quando da bambina ho letto Hobberdy Dick, scelto su uno scaffale per la copertina assolutamente irresistibile, mi ha affascinato, e me lo sono portato dentro sempre, tanto da utilizzarlo come lettura quando davo lezioni di inglese, e affascinare in ugual modo i miei studenti. Ma solo ora che lo sto rileggendo con attenzione e il senno di poi, capisco perché il suo fascino è durato più dei tanti libri di streghe e magia che ho divorato da bambina e da ragazza.
Per cominciare, la trama è tutt’altro che infantile. L’ambientazione è nel 1652 e anni successivi, quando erano in corso le Guerre Civili inglesi, fra un Re appoggiato dal papa e un Parlamento rigidamente puritano appoggiato dalle nuove ricche classi mercantili. In quegli anni il re e la corte erano stati esiliati, il Parlamento aveva espropriato le terre di molti nobili realisti rivendendole ai mercanti, ogni contea aveva un Comitato dei Sequestri, incaricato per l’appunto di tali espropri e di contrattare l’eventuale riscatto delle terre con i nobili che si pentivano e appoggiavano il Parlamento. Tutto questo ovviamente non viene spiegato nel racconto, ma i protagonisti sono una famiglia di mercanti londinesi puritani che comprano una fattoria che i proprietari, piccoli nobili rovinati dalle guerre, hanno dovuto abbandonare, e che si trovano presi fra la necessità di ingraziarsi i Parlamentari seguendo rigidamente i dettami puritani, che proibiscono qualsiasi festeggiamento o frivolezza e considerano le credenze popolari frutto di idolatria e stregoneria, e i ritmi e le esigenze della vita di campagna, di cui il credere ai folletti e tenerseli buoni è una parte fondamentale, e che tutto il personale nato e cresciuto in campagna segue fedelmente. E poi nella casa il folletto c’è davvero, Hobberdy Dick, che aiuta facendo lavoretti per casa, pulizie, cucito, tenendo a bada le forze maligne che vogliono il male della casa e degli abitanti, fino a rapire una delle bambine, perché in quegli anni le forze del male erano particolarmente forti, essendo stati proibiti tutti gli incantesimi protettivi e le antiche usanze per proteggersi dalle forze oscure, come ad esempio infilarsi la giacca a rovescio se si è persi nella nebbia.
E le descrizioni continue e minuziose di queste usanze e di queste “superstizioni”, dei vari tipi di folletti domestici e non, oltre alle descrizioni della vita quotidiana in una fattoria di un ricco gentiluomo di campagna, danno il vero sapore al libro, la sensazione che oltre a divertirsi si sta imparando qualcosa, come si aggiusta una siepe, come si prepara la bevanda natalizia per augurare un buon raccolto, come fosse povera per le nostre abitudini la vita in una casa ricca, dove le conserve in dispensa venivano aperte solo nelle grandi occasioni, il pane bianco era distribuito con parsimonia, si teneva conto nelle cucine della quantità di tutti gli ingredienti, ogni mobile era un oggetto di lusso. Un esempio per tutti, la distribuzione dei posti letto (da notare che la famiglia era più ricca di quanto mai fossero stati i nobili che l’avevano preceduta): il padrone e la padrona tenevano sotto il letto un altro lettino su ruote che la notte veniva tirato fuori e in cui dormiva il figlio piccolo. Le tre figlie, la balia e il neonato dormivano insieme in un’altra stanza. La mamma anziana dormiva in uno sgabuzzino senza finestre. Il figlio maggiore in uno sgabuzzino sotto le scale. Le tre domestiche su pagliericci nel corridoio fra le soffitte, e le due cameriere principali su pagliericci nelle due soffitte. Il maggiordomo e l’aiuto della fattoria su pagliericci nell’ingresso e il fattore su un pagliericcio nel fienile sopra le stalle.
E il folletto che protegge la casa e la famiglia è un personaggio di una delicatezza, un’ironia e una sensibilità che lo scolpiscono nel cuore di chiunque venga a contatto con lui. Viene davvero voglia di andare alla fattoria (che ancora esiste, si può vedere con google street view, Widford Manor nell’Oxfordshire), e cercarne le tracce, magari lasciandogli un piattino di panna e un poco di pane bianco per ringraziarlo del racconto a cui ha dato vita.

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