Wrecking ball
Parlare, o scrivere, del Boss non è mai facile, per me.
Troppo profondo il legame con la sua musica.. e con lui, se capite cosa intendo.. da troppi anni per volerli contare.. difficile riuscire ad essere obiettivo..
Ma ci voglio provare!
Iniziamo ammettendolo: gli ultimi dischi di Springsteen non erano certamente fra i suoi migliori.. Anzi, diciamola tutta, non erano un granché.
Per carità, non era tutto da buttare, c'era sempre qualche pezzo degno di nota, ed anche uno Springsteen minore vale tanti cantautori di oggi, ma nel complesso erano dischi fiacchi, che sembravano opera di un rocker che con gli anni si stava adagiando nella ripetizione di sé stesso.
Di questo Wrecking ball, invece, si sentiva dire un gran bene da chi aveva avuto la fortuna dell'anteprima e, fortunatamente, direi che avevano ragione.
Abbandonate le produzioni troppo levigate del recente passato (lasciando Brendan O’Brien per prendere direttamente il controllo del mixer con Ron Aniello), il Boss ritorna a suoni decisamente più roots, spesso più vicini a quelli delle Seeger Sessions, fortemente intrisi di sapori black.
I toni sembrano in generale più cupi, figli dei tempi difficili che viviamo, ma anche probabilmente del dolore per la perdita di un fratello come Clarence Clemons, il cui sax appare ancora in due brani (mentre per il resto sembrano prevalere le trombe), ed al quale Springsteen dedica una nota sinceramente commovente.
La lista dei musicisti è molto lunga: Springsteen ed Aniello suonano gran parte degli strumenti, appaiono alcuni storici compagni d’avventura (Max Weinberg, Patti Scialfa, Steve Van Zandt), e fra gli altri anche Matt Chamberlain alla batteria su tre brani, Tom Morello alla chitarra su due..
Anche nei testi, ritroviamo quello storyteller che da decenni sa come pochi raccontare l’altra faccia del sogno americano, nella sua cruda e difficile realtà, ma anche nei suoi impeti di rivalsa e speranza.
Bentornato, Bruce, i tuoi dischi sono sempre una gran botta di energia, per me..
Long live The Boss!!
