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Live Music

Di: Chiara Colli | 08/01/2012
Confrontando foto e dati anagrafici, oggi gli Strange Boys dovrebbero avere circa venticinque anni. Eppure suonano come se avessero passato gli anni migliori della loro vita intorno al 1964. Non che l’atmosfera dei loro tre album odori di stantio, tutt’altro. Ma più di quanto possa impressionare una band di giovinastri che si sfoghi col garage punk - a cui è riconducibile l’esordio The Strange Boys and Girls Club - da un paio di anni, gli Strani Ragazzi colpiscono per il copioso recupero delle loro radici (r’n’r) americane.
Formati a Dallas ma Texani d’adozione, in Live Music (inteso come “vivere”) mettono in fila una serie di aspetti dall’effetto tremendamente old school: la voce di Ryan Sambol, stralunata come una tequila invecchiata; l’uso crescente del pianoforte e dell’armonica; corde pizzicate neanche fosse country; e poi, la divisione dell’album in lato A e B, registrati rispettivamente ad Austin con lo Spoon Jim Eno e in California con Mike Mchugh. Un bottino significativo, dove la massiccia presenza del piano induce ad immaginare i Boys come la band resident di qualche saloon di Austin. Ma anche blues scalcinato e chitarre da Invasione sixties ponderati a dovere. Non a caso protetti a suo tempo dai Jay Reatard e dalla In The Red, i ragazzacci confermano di sapere mantenere fresco un suono tutt’altro che sorpassato.

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