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Can't Stay Long

Di: Gianluca Diana | 29/11/2011
Kenny Brown. Un uomo delle Hills. Che ha imparato il verbo chitarristico da un vicino di casa affatto male, vale a dire Mississippi Joe Callicott. A tempo perso poi, gli giungevano le onde concentriche del cosmo irradiato da Mississippi Fred McDowell. Da adulto, incrocia i suoi percorsi con Otha Turner, nel senso che la zona di residenza era la stessa. E poi, diviene l'ennesimo figlio pur se non di sangue, di R.L. Burnside. Eccoci. Quel bianco longilineo e francamente “skinny”, dal naso adunco e le chioma insolitamente bionda per esser targato Missississippi, è lui. Figlio putativo del grande vecchio, Kenny vanta una discografia personale abbastanza ridotta. Una manciata di album fino a ieri l'altro. Quando se ne è aggiunto uno in più. Parliamo di “Can't Stay Long”, edito dalla Devil Down Records. Un disco doppio diviso in due parti: uno acustica [meglio riuscita] chiamato “Porch Songs”, uno elettrico titolato “Money Maker” [non completamente convincente]. In questa dicotomia sta forse tutta la sua matrice stilistica, scissa a metà tra il suonare ciò che ama [acustico] e ciò che serve [elettrico]. Sia chiaro, Brown non rifugge assolutamente i decibel sparati, tutt'altro. Ma certamente, sulla veranda del suo trailer [scommettiamo: vivrà in un trailer?] ha profondamente senso tessere trame acustiche. Ed alla fine della giostra, andiamo a suonarla, belle elettrica e tamarra. Ma quanto ci piace? “Skinny Woman”.

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