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Red Barked Tree

Di: Chiara Colli | 12/02/2011
Dodicesimo album per la formazione post punk per eccellenza, nonché per una delle band in assoluto più influenti nella storia della popular music. Il terzo, della nuova incarnazione, cominciata nel 2003, dopo oltre dieci anni di stop, con il cibernetico "Send". Dopo la convincente tappa intermedia di "Object 47", Colin Newman, Graham Lewis e Robert Grey (ex Gotobed), - tutti e tre, quasi alla soglia dei sessanta e già "orfani" dal disco precedente del chitarrista Bruce Gilbert - , si allontanano sensibilmente dal punk marziale che li aveva caratterizzati nei primi anni zero, per riportare le chitarre al centro della loro estetica intellettualoide e decostruttiva.
Un album che, personalmente, non arriva dritto al punto ai primi ascolti. Forse proprio per via di una maggiore smussatura dei (celebri) spigoli, forse a causa di un impatto che, dal punto di vista sonoro, non mostra la solita aggressione, sia in termini di imput sintetici che di irrequietezza puramente cerebrale. Forse, in realtà, solo perché gli Wire sono semplicemente (ancora) più avanti del proprio ascoltatore. "Red Barked Tree" è un album che sembra attestare, dichiarare apertamente, la naturalezza con cui questi tre signori londinesi possono permettersi di virare, dalla de-umanizzazione dei precedenti album, sicuramente dall'impatto più immediato, ed aprire alla melodia, anche al pop in senso più comune, senza cadere nella banalità (e tantomeno nel già sentito).
Fusione riuscita tra sei corde ed elettronica, quindi, ma a favore delle prime, con un conseguente calo di tensione che però guadagna in quanto a variazione melodica. Non un dictat, questo, come dimostrano le aggressioni al fulmicotone di brani quali "Two Minuts", "Moreover" e "Smash". Piuttosto, un'apertura verso un pop elettronico maturo ("Please Take") e signorilmente arty ("Bad Worn Thing"), smussando gli spigoli a beneficio di atmosfere ipnotiche ("Red Barked Tree"). Ancora una lezione di stile. Fin dalla copertina.

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