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Ode To The Unknown Factory Worker

Di: Gianluca Diana | 08/02/2011
Leila Adu è vocalist di primissimo ordine che suona con talento anche il pianoforte. Nel quale riversa la complessità della sua provenienza geografica e culturale, neozelandese con origini ghanesi, ed a cui aggiunge un'istanza di giramondo che l'ha portata tra l'altro anche a soggiornare per alcuni anni a Roma. Dal debutto discografico in terra natia del 2003, la nostra infatti ha percorso miglia e miglia, lasciando al contempo incisioni anno dopo anno quasi a segnare come pietre miliari la propria vicenda personale. Recording sessions quindi che l'hanno portata in passato ad incrociare i propri destini anche con personaggi come Steve Albini, presso il cui studio prese vita il penultimo “Dark Joan”, edito dalla londinese Frizz Records. Parzialmente da quegli attimi statunitensi, giungono alcune delle idee sviluppate in questo suo ultimo “Ode To The Unknown Factory Worker”. Undici brani autografi che vengono pubblicati da Rai Trade – Tracce, in cui la Adu riversa le sue idee sonore che si mescolano a seconda delle circostanze tra strali pop ed elementi di impro jazz. Ma nulla è definibile in questo disco. Niente è facilmente catalogabile come un genere piuttosto che un altro ancora. Un'incisione che sembra una fase liminale, un rito di passaggio della Adu. E come tale può spiazzare l'ascoltatore. Che rimane impressionato da attimi cupi e fortemente inquieti [“Martian Raft; “Fortuna”], che si fa prendere dalla dolcezza di “Brazen Hussy” e dalla melanconia di “Must Walk Slowly”. Accompagnata in quattro tracce dal batterista Daniele De Santis, la Adu vola alta e leggiadra. Scegliete di entrare nelle sue inquietudini e nel suo lirismo. Non ve ne pentirete. Acme nel brano manifesto “Slick Department Store”.

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