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Majesty Shredding

Di: Chiara Colli | 08/01/2011
Come tutti gli anni. Arrivano i primi di gennaio e, a classifiche ampiamente chiuse, si "scopre" un album che meritava di diritto la top 5. O quasi. Colpa della pigrizia, della distrazione, di un anno in overdose di indie di ottima qualità. Di certo non colpa della poca immediatezza del disco in questione o del riscontro positivo ricevuto dal suddetto in tutto l'etere musicale. Era dal 2001 che il quartetto di Chapel Hill, North Carolina non pubblicava un album, nonostante di scioglimento non se ne sia mai davvero parlato. Loro, otto album in undici anni (1990 - 2001). Loro, i Peter Pan dell'indie (insieme a J Mascis e soci). Loro, passati dalla Matador alla Merge (nel 1994), per non dover neanche sfiorare le intrusive fauci dell'Atlantic. Dieci anni di silenzio e un'attesa per un album di cui si parlava da tempo, ma che forse nessuno credeva sarebbe davvero uscito. E invece. E invece, i Superchunk sono tornati con un album assolutamente all'altezza del glorioso passato, a metà tra una band di college rock passata di orecchio in orecchio attraverso le radio universitarie e una formazione pioniera del rock indipendente. College rock e indie, a cui si aggiunge una terza, pericolosissima, parolina chiave: emo. Si è già parlato in questo spazio di un timido ritorno di certo emo (e il caso vuole si trattasse dei Japandroids e del loro "Post Nothing", altro album ascoltato con qualche mese di ritardo da chi scrive). Nel caso dei Superchunk, non esattamente un ritorno. Ma un orologio che sembra essersi fermato. Senza la seccante controindicazione di sembrare totalmente fuori tempo massimo.
Majesty Shredding è un concentrato di melodie punk pop chitarrose e distorte al punto giusto, attraversate dalla scanzonatezza emo dei migliori Get Up Kids. Anathem guidati dalla voce adolescenziale di Mac McCaughan, dietro cui si dispiegano, puntualmente, giocosi coretti (a partire dall'apertura di 'Digging for Something') e climax tanto (a volte) scontati, quanto tremendamente irresistibili. Riff spaccacervello ('Winter Games'), indie rock per skaters da spiaggia ('Learned to Surf'), emo con la "E" maiuscola per quello che, per chi scrive, è indiscutibilmente il brano del mese ('My Gap Feels Weird'), addirittura una ballata sopraffina ('Fractures in Plaster') e melodie ('Cross Wires') che racchiudono in 3.48" tutto l'indie rock festante degli ultimi dieci anni. Un album che è una dichiarazione di intenti. Una dichiarazione d'indipendenza dal tempo che passa e una testarda affermazione del proprio immutato essere. Spensierato, genuinamente DIY, adolescenziale. Ma anche molto sicuro di sé. Se i Superchunk non fossero così bravi a (ri)mettere in musica lo spirito che avevano venti anni fa, Majesty Shredding sarebbe stato un flop. Uno di quegli album anacronistici. E invece, ne è uscito fuori un album che il tempo, quel tempo, lo porta dentro. Senza sfigurare, per colpa anche di un solo riempitivo, di fronte alla produzione nineties della band. E di molte altre (più o meno) ancora in circolazione.

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