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Pyramid of the Sun

Di: Chiara Colli | 25/12/2010
Athens, Georgia. Non solo college rock (e neanche new wave fortemente ironica), ma un fervido underground di band prende vita - ormai da anni - da questo angolo degli States. Nati all'alba degli anni zero come quartetto (totalmente strumentale) a cavallo tra post rock ed influenze "colte" (musica classica, jazz), i Maserati sono divenuti negli anni, mine vaganti esploratrici di territori tanto elettronici quanto teutonici. Una formazione che varia nel tempo, ma con le due chitarre - quella di Coley Dennis e Matt Cherry - sempre fisse alla guida dal 2001. E con un brutto incidente di percorso, nel novembre 2009, quando per un'eventualità quasi incredibile - la caduta nel tunnel dell'ascensore nel tentativo di saltare tra due piani - porta via ai Maserati un batterista eccezionale, in passato già dietro i tamburi dei !!!: Jerry Fuchs. "Pyramid of the Sun" è, più o meno implicitamente (ed ovviamente), dedicato al musicista scomparso che, peraltro, risulta presente nell'album. Un disco che ha richiesto una lavorazione più lunga, non solo per il trauma subito in corso d'opera dalla band, ma anche per rispettare al massimo le basi già registrate da Fuchs. Un disco che proprio grazie all'ampio respiro della batteria, ha la completa libertà di esplorare liberamente territori, fino ad allora, non del tutto familiari al terzetto (il batterista non è stato sostituito) di Athens.
Nel caso si dovesse scegliere una parola chiave nota per descrivere Pyramid of the Sun, questa sarebbe probabilmente qualcosa di molto simile al motorik. È infatti l'influenza del krautrock, in una modalità più aggressiva e moderna, a sballottolare immediatamente l'ascoltatore contro le pareti in cui è rinchiuso. Kraut nel suo ampio respiro, nelle cavalcate in continua mutazione, nel mescolamento di rock suonato (suonatissimo) ed elettronica, nella ripetitività di centri concentrici a cui, progressivamente, si aggiungono strumenti e pennellate di paesaggi. Paesaggi freddi, ma anche desertici. Distese infinite, in cui c'è spazio per lasciare correre i pensieri, mentre il pulsare di Fuchs batte metronomico e incalzante ("We Got the System to Fight the System"). Oppure incedere che sembrano minacciosi, più cupi. Ma che poi, si rivelano concessioni alla tecnologia, meritevole di far rivivere i primi U2 in una versione più sintetica ("Pyramid of the Sun", "They'll No More Suffer From Thirst"). Un album che non esisterebbe senza Brian Eno, Neu! E Pink Floyd, ma che ne trasforma coraggiosamente e consapevolmente l'essenza. In maniera personale, sperimentale e non pedissequamente futuristica. Un album, anche per chi non ama l'elettronica. Ma adora gli azzardi.

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