Cerca tra i 5478 podcast,
l'archivio delle nostre trasmisioni dal 2006

Gemini

Di: Chiara Colli | 11/12/2010
C-68 is back. La ciclicità della popular music, trova in questi ultimi anni un'ennesima conferma nell'ondata di band - per ora d'oltreoceano, ma ci sarebbe da scommettere che il trend (ri) attraverserà l'Atlantico per (ri)approdare nella perfida Albione - palesemente influenzate dall'indie pop britannico dei metà 80. Crystal Stilts, The Pains of Being Pure at Heart, Vivian Girls, solo per fare qualche nome noto, le band dalle sonorità (più o meno) lo-fi e dalle chitarre jangly debitrici nei confronti di The Smiths, The Pastels e Black Tambourine. Ovviamente, incrociate con uno shoegaze dal muro di suono meno massiccio e distorto e con certo pop sintetico (made in UK) di matrice wave (The Cure su tutti). Alla schiera, si aggiunge una nuova one man band, probabilmente non troppo originale, ma il cui esordio non può che essere definito come un piccolo gioiellino pop. Sono i Wild Nothing di Jack Tatum, giovane e timidissimo polistrumentista della Virginia, terra che oltre a tanta desolazione ha dato i natali ad un altro "piccolo principe" del lo-fi, tal Stephen Malkmus.
Un nome che nasce semplicemente "Perchè cercavo due parole che stessero bene insiene" (!) e un album che esce quasi per caso, per stessa ammissione di Tatum. Poco dopo aver messo su un myspace, nell'estate 2009, l'anima dei futuri Wild Nothing viene contattata da Mr. Blank Dogs, aka Mike Spiner, che lo vuole produrre con la sua Captured Tracks. Guru del lo-fi, Spiner incoraggia Tatum a scrivere canzoni e a registrarle con i pochi mezzi a disposizione nella sua cameretta. Il risultato è "Gemini", 11 brani di pop dreamy, melodie nostalgiche e zuccherose (quanto basta), chitarre debitrici di Marr e synth devoti a Robert Smith & co. Un suono certamente derivativo, ma anche una inequivocabile - per chi ama l'indie pop in tutte le sue forme - capacità di comporre melodie catchy e disimpegnate, senza risultare commerciali. Un ideale incrocio tra My Bloody Valentine e i Cure di "The Head on the Door", con influssi scozzesi che trapelano nelle tastiere di "Confirmation" o "Chinatown". Una potenziale versione C-86 degli anni '10, nella deliziosa "Summer Holiday", nella Morrisseiana "Live in Dreams" e nella romanticissima "O Lilac". Un album palesemente scritto nella propria cameretta, mentre si pensa alla propria fidanzata e la musica è ancora una sincera via di fuga dalla noia e dal grigiore della realtà quotidiana. Un album pop, senza la pretesa di suonare innovativo, ma con la purezza di un ragazzo di periferia che non ha ancora idea di quanto pericoloso potrebbe diventare il suo giocattolo. Un album dalle tinte pastello, perfetto per chi non teme i fantasmi del passato e i (potenziali) inganni del presente.

Condividi

     

Commenta

ULTIMI POST