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Cattive Abitudini

Di: Chiara Colli | 13/11/2010
Qualcuno li aspettava da undici anni. Da quel 1999, in cui usciva Club Privè, album fotografia delle incomprensioni e del declino (temporaneo) che stava attraversando la band - fin dagli inizi, sempre una spanna sopra molto rock alternativo italiano - ma in quell'ultimo episodio, meno tesa ed evocativa rispetto ai lavori precedenti. Qualcuno li ha aspettati, e l'attesa non è stata vana. Scioltisi nel 2002, i Massimo Volume avevano continuato a fare musica, ma cambiando (necessariamente) aria. Poi, nel 2008, un primo ritorno. Al Traffic Festival di Torino, per sonorizzare "La caduta della casa Husher" di Epstein, su richiesta di Manuel Agnelli (produttore di Club Privè, e responsabile della scelta di un tentativo di cantato, al posto del consueto recitato, nel suddetto album). È in questa occasione, nella creazione di un inedito, che i Massimo Volume comprendono ci sia ancora qualcosa di forte ad unirli. Alla chitarra, come quarto elemento, subentra il più giovane Stefano Pilia. Durante l'inverno, prende il via un reunion tour da tutto esaurito quasi ovunque. La forza di una delle band più originali degli anni 90 torna, inesorabilmente, a far venire i brividi.
È da qui, che prende il via "Cattive abitudini". Registrato in poco tempo, con strumentazione analogica e con molti episodi - racconta Emidio Clementi - in cui è stata "buona la prima", il quinto album della band con base a Bologna è la quintessenza dello stile Massimo Volume. Teso, potente, con liriche memorabili, intrecci di chitarra a volte molto elettrici e a volte molto dilatati. Un album che poteva essere deludente, come molte reunion. E che invece, ha riportato ai suoi fan, una band al massimo delle sue possibilità: matura, vibrante, sincera. E mai autoreferenziale. Un album uscito per un'etichetta giovane e indipendente - La Tempesta - che sta lavorando molto (e bene) in certo ambito italiano. Un album con personaggi ritratti nelle loro ossessioni, paure ed umanità. Un album che ha fretta, come dice Mimì, e con un tema ricorrente che è quello del tempo.
"Cattive abitudini" si snoda dal recupero (rock) di "Robert Lowell" - novello Immanuel Carnevali -, sorta di incipit che presenta il ritorno della band, fino alle chitarre che delineano i paesaggi di "Coney Island". Dalla confessione de "Le nostre ore" - in cui l'interlocutore è "segretamente" Manuel Agnelli - alla potenza elettrica di "Litio". Dalla frase, memorabile, di "Fausto" (ovviamente, Rossi) "ho visto le menti migliori della mia generazione mendicare una presenza al varietà del sabato sera", alla desolazione sonica di "Invito al massacro". Dl ritmo più serrato e solare - dettato dalla batteria di Vittoria Burattini - della (meravigliosa) "La bellezza vi salverà", alla quiete, poetica e straniante, di "Avevi fretta di andartene". Un album che è insieme, esperienza fisica ed intellettuale. Proprio come i bei vecchi tempi. Proprio come avremmo voluto che fosse.

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