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Everything In Between

Di: Chiara Colli | 02/10/2010
Nouns è stato uno dei (se non il) miglior album del 2008. Per chi scrive e per una manciata di altri accaniti sostenitori del cosiddetto punk-gaze. Era ovvio che su questo secondo LP (anticipato dall'EP Loosing Feeling del 2009 e senza contare la compilation Weirdo Rippers del 2007, contenente i brani migliori tratti dagli EP usciti prima dell'esordio) ci fosse una qualche curiosità ed attesa. Il duo losangeliano facente parte del giro vegan-DIY che ruota intorno al celebre locale The Smell, del resto, è già da qualche anno una realtà significativa della scena californiana. Prima, insieme al batterista Jeremy Villalobos, con i Wives, band in pura tradizione hardcore/Orange County. Poi, dal 2005, con i No Age, nome preso in prestito - tanto per restare in tema - da una compilation della SST Record dell'87 contenente Black Flag e co.
Dicevamo: dreampunk, punkgaze, noise pop, lo-fry, fuzz-pop. In qualsiasi modo lo si voglia chiamare, quello dei No Age è un genere che sta, in effetti, prendendo una piega sempre più significativa tra le band d'oltreoceano (dai Japandroids ai Wavves, per citare i migliori). Ma non tutti possono vantare lo stesso piglio dei (simpaticissimi) Randy Randall e Dean Spunt. Se Nouns batteva possentemente sul versante più punk, sporco e tirato, Everything In Between - sebbene non manchi di pezzi veloci, energia scanzonata e bassa fedeltà - mostra una qualche evoluzione verso un sound leggermente più pulito ed elettronico, senza comunque mai risultare in qualche modo "furbetto". Quello che emerge, in particolare, è una maggiore attenzione alla melodia, alla creazione di vere e proprie canzoni dal profilo più delineato. E poi, i sample. Quindi, più spazio all'elettronica, anche con l'aggiunta di un terzo elemento durante i live.
Nostalgia zuccherosa, distorsione e batteria possente nel singolo, meraviglioso, Glitter. Irresistibile febbre ramonesiana in Fever Dreaming e punk pop sepolto sotto coltri di rumore con Depletion, Shred And Transcend e la più storta Valley Hump Crash. E poi un accenno di lato B - con Katerpillar, Sorts, Dusted e Positive Amputation - con brani strumentali tra loop e orizzonti onirici. Un album che Pitchfork ha inserito tra le migliori uscite e che anche noi consigliamo vivamente. Pur ammettendo un debole antico per la band. E la possibilità che, i più sospettosi verso l'attitudine derivativa o tremendamente lo-fi di certo indie d'oltreoceano, possano (ancora una volta) rimanere delusi.

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